Teoria dell’etichettamento o labeling theory.TEORIA DELLA DEVIANZA #7 con VIDEO e PODCAST

Teoria dell’etichettamento o labeling theory.TEORIA DELLA DEVIANZA #7 con VIDEO e PODCAST

Una delle più note teorie sulla devianza è la teoria dell’etichettamento o labeling theory.

Storicamente è stata concepita negli anni ’60, ipotizzando che gli uomini avrebbero la tendenza a categorizzare.

Si tratta della tendenza a mettere un’etichetta a qualunque cosa e qualunque soggetto.

Tale tendenza appare tra l’altro più forte quando quel qualcosa e quel qualcuno si discosta dalla norma.

Da specificare che per norma si intende un comportamento che non è “normale” in senso di “sano”, ma condiviso dalla maggior parte delle persone.

Così una cosa normale in una cultura può essere non normale in un’altra.

Tuttavia la teoria dell’etichettamento afferma che la tendenza a categorizzare rechi con sé un valore di merito positivo o negativo.

Quindi ciò che è condiviso è giusto e ciò (o chi) non lo è è sbagliato.

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La teoria dell’etichettamento: quando e dove nasce

La labeling theory o teoria dell’etichettamento prende le mosse dal cosiddetto “interazionismo simbolico“.

Si tratta di una scuola di pensiero che si basava sulle idee, tra gli altri, di George Herbert Mead e di John Dewey.

Come data simbolo per la pubblicazione di questa teoria viene ricordato il 1963, quando Howard Becker  pubblicò il lavoro Outsider.

Si tratta di un termine chiave per questa teoria, dato che coloro che non si adeguano alle etichette vengono definiti proprio Outsiders.

La domanda alla quale questa teoria cercava di rispondere era:

Criminali si nasce o si diventa? Il ruolo della comunità

L’attenzione degli studiosi della teoria dell’etichettamento andava al quesito su cosa renda alcune persone devianti o criminali.

I teorici della labeling theory (tra i quali Blumer) si concentravano sull’aspetto sociale dell’interazione umana.

Affermavano quindi che fosse l‘interazione tra individui nella società a dare un significato ai comportamenti vigenti all’interno di quella società.

Partendo dall’assunto che una comunità (intesa come governo o Stato o ancora come insieme di persone influenti) stabilisce delle norme da rispettare, tutti quelli che non si adeguano a tali norme sono devianti nel senso che si discostano dalla direzione data loro dalla collettività.

Il punto, o problema se vogliamo, è che tali norme quando sono giuridiche coincidono con la legge, ma quando sono di altra natura rischiano di creare discriminazioni.

Un conto infatti è il non rispettare la legge, altra cosa è non adeguarsi al pensiero comune e venire per questo emarginati.

Il ruolo delle etichette: come la società crea gli outsider

L’aspetto interessante e peculiare di questa teoria sta nel fatto che ha posto l’attenzione sulla reazione della comunità al crimine e a quelli che definisce “devianti”.

L’idea sottostante era che, nonostante la criminologia cercasse di studiare e prevenire il crimine, i suoi sforzi venivano vanificati laddove la società stessa contribuisce a creare dei criminali proprio attraverso l’etichettamento.

Il concetto è semplice: se una persona si comporta in un certo modo (non necessariamente delinquendo ma avendo un pensiero non allineato) e la società continua a etichettarlo ed emarginarlo, quanto tempo passerà prima che quell’outsider si isoli e si comporti così come la società in fondo si aspetta che si comporti?

Quando i membri della comunità iniziano a trattare alcuni soggetti sulla base delle loro etichette, queste persone iniziano ad accettare le etichette stesse.

Ecco il meccanismo: una persona attua un comportamento che è ritenuto inappropriato dagli altri; gli altri etichettano quella persona come deviante, e alla fine l’individuo interiorizza e accetta quell’etichetta.

La reazione sociale nella teoria dell’etichettamento

Si tratta del concetto della reazione sociale, cioè della reazione o della risposta da parte di altri al comportamento o all’individuo che attua quel comportamento.

Questo concetto è centrale per la teoria dell’etichettamento. Ciò che si deve comprendere quindi è che la reazione negativa della comunità a un comportamento di un certo tipo, è ciò che fa sì che quel comportamento venga etichettato come criminale o deviante.

La devianza come reazione sociale nella teoria dell’etichettamento

Scendendo nella teoria, Becker definiva la devianza come una vera e propria creazione sociale.

Il meccanismo vedrebbe i gruppi sociali creare le regole e poi etichettare come devianza tutto ciò che non rispetta quelle regole.

Il comportamento che ne deriverebbe, quindi la reazione dell’etichettato, sarebbe per Becker di 4 tipologie:

  • falsamente accusato: si tratta di chi adotta un comportamento obbediente ma nonostante questo si percepisce come deviante. Pertanto sarebbe falsamente etichettato;
  • conforme: è chi adotta un comportamento obbediente e viene percepito come tale, quindi non come deviante;
  • deviante puro: chi viola le regole e assume deliberatamente il comportamento etichettato come criminale;
  • e deviante segreto: chi infine pur adottando un comportamento che viola le regole non viene percepito come deviante e quindi non viene etichettato come tale.

La devianza serve alla società? Secondo Durkheim si

Secondo alcuni sociologi, tra i quali Emile Durkheim padre della teoria sociologica della devianza, la devianza sarebbe funzionale alla società perché manterrebbe la stabilità definendone i confini.

Anche Erikson, nel 1966, parlò di funzione della devianza. Tra queste vi sarebbe il fatto che le reazioni sociali alla devianza stigmatizzano il trasgressore e lo separano dal resto della società.

Così, la devianza serve a preservare la comunità da chi non pensa e agisce come lei.

Il rovescio della medaglia è quello che Sigmund Freud chiamava profezia che si autoavvera, cioè il meccanismo della stigmatizzazione in base al quale i trasgressori arrivano a vedere sé stessi nello stesso modo in cui li vede la società adeguandosi a ciò.

Devianza primaria e devianza secondaria nella teoria dell’etichettamento

Con devianza primaria ci si riferisce a tutti quei comportamenti iniziali di devianza di un soggetto che comportano conseguenze minori per lo status o le relazioni di quell’individuo nella società.

Il punto è che la maggior parte delle persone vìola le leggi o commette atti devianti nel corso della propria vita.

Se però questi atti non sono abbastanza gravi, il soggetto non si classifica come criminale dalla società o da sé stesso.

Può essere il caso di comportamenti che per quanto al limite o anche illeciti, si ritengono normali o “bravate di gioventù“. Si può trattare del rubare qualcosa in un negozio o fare uso di droghe leggere o ancora prendere una multa per eccesso di velocità.

Per devianza secondaria invece si intende la devianza che si verifica come risposta alla reazione della società e all’etichettamento.

Questo tipo di devianza, a differenza della devianza primaria, ha implicazioni importanti per lo status e le relazioni di una persona nella società ed è un risultato diretto dell’interiorizzazione dell’etichetta di deviante.

Questo percorso dalla devianza primaria alla devianza secondaria è illustrato come segue:

a causa della devianza primaria →

gli altri etichettano l’atto come deviante →

così l’attore interiorizza l’etichetta deviante →

e sviluppa una devianza secondaria.

Sviluppi della teoria dell’etichettamento

Nel corso degli anni diversi autori hanno apportato dei contributi importanti alla teoria dell’etichettamento.

Si tratta di:

  • l’etichettatura modificata di Bruce Link;
  • la vergogna reintegrativa di John Braithwaite;
  • il controllo sociale differenziale di Ross L. Matsueda e Karen Heimer.

La labeling theory modificata di Bruce Link

Nel 1989 la teoria dell’etichettamento modificata di Bruce Link ha ampliato il quadro originale della teoria per includere un processo in cinque fasi.

Link declinava il suo apporto al quadro delle malattie mentali per spiegarne il decorso in termini di etichettamento.

Le fasi del suo modello studiavano:

  • la misura in cui le persone credono che i pazienti malati mentali saranno svalutati e discriminati dagli altri membri della comunità;
  • il periodo di tempo entro il quale le istituzioni etichettano ufficialmente le persone;
  • il momento in cui il paziente risponde all’etichettamento attraverso la segretezza o il ritiro;
  • le conseguenze negative sulla vita di questo individuo che sono state causate come risultato dell’etichettamento;
  • infine la fase finale di vulnerabilità alla futura malattia mentale intesa come devianza quale risultato degli effetti dell’etichettamento.

La teoria della vergogna reintegrativa di John Braithwaite

Siamo sempre nel 1989, e John Braithwaite introduce quella che si definisce la teoria della vergogna reintegrativa.

L’autore esaminò la differenza tra stigmatizzazione dell’individuo e vergogna reintegrativa, cioè la differenza tra l’incoraggiare un soggetto a interrompere il comportamento deviante senza etichettarlo o farlo stigmatizzandolo.

La teoria affermava che la vergogna reintegrativa può ridurre la criminalità a differenza della stigmatizzazione, che invece essenzialmente la aumenterebbe incoraggiando la devianza futura.

Quindi gli individui, dopo aver commesso un atto ritenuto criminale, saranno umiliati dalla società per quell’atto e poi riaccettati nella società senza un’etichetta permanente di “non normale”, “deviante” o “criminale”.

Inoltre, un secondo concetto di questa teoria è la nozione di giustizia riparativa, cioè una sorta di ammenda per le proprie azioni sbagliate con coloro che si è colpiti col proprio comportamento.

Così la vergogna reintegrativa dimostrerebbe che un comportamento è sbagliato senza che chi è accusato di quel comportamento venga danneggiato.

Laddove la società incoraggi il soggetto a rimediare a ciò che ha fatto, a mostrare rimorso per la scelta del proprio comportamento e a imparare dall’errore, per poi accettarlo di nuovo al suo interno, contrasterebbe la devianza.

La teoria del controllo sociale differenziale di Ross Matsueda e Karen Heimer

Secondo Ross Matsueda e Karen Heimer, che postularono la teoria del controllo sociale differenziale nel 1992, l’attenzione dovrebbe essere spostata verso la prospettiva interazionista simbolica.

Con questo approccio alla delinquenza gli autori spiegherebbero l’autocontrollo e il controllo sociale che a sua volta spiegherebbe tutte le dimensioni del fenomeno, tra cui:

  • etichettatura;
  • devianza secondaria;
  • devianza primaria.

Il concetto è l’assunzione di ruolo.

Si tratta del fatto che gli esseri umani riflettono sul proprio comportamento, e tramite l’empatia possono mettersi nei panni dell’altro.

Così hanno la capacità e la possibilità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni dal punto di vista dell’altro, trovando azioni alternative più accettabili per sé e per gli altri.

Heimer e Matsueda parlavano di controllo sociale differenziale per riferirsi al fatto che il controllo sociale attraverso l’assunzione di ruolo può assumere una direzione convenzionale o una direzione criminale.

In questo passaggio gioca un ruolo chiave la società: le azioni accettabili da parte dei pari potrebbero non essere necessariamente convenzionali o non devianti. È il caso delle comunità criminali in cui comportamenti illeciti si considerano normali e anzi chi li commette si “rispetta”.

Critiche alla teoria dell’etichettamento

Una delle critiche più importanti alla teoria dell’etichettamento sta nella “facilità” con cui ipotizza che si passi dalla devianza primaria a quella secondaria.

La devianza secondaria implica una lunga catena causale di eventi, tra cui etichette negative, opportunità oggettive e percepite, immagini di sé devianti e scelta del soggetto. Invece la teoria postula che alcuni gruppi potrebbero essere più vulnerabili di altri a questi eventi.

Quindi la critica sta nell’essersi concentrati troppo e in maniera esclusiva sulla devianza futura senza esaminare a fondo il processo che vi ha condotto e le caratteristiche di chi vi è implicato.

Le etichette sono anche positive

Un’altra critica alla teoria è che questa non considererebbe abbastanza il ruolo “positivo” delle etichette, nel senso che la relazione tra chi stabilisce le norme e chi non le rispetta venendo etichettato come criminale sarebbe la causa della devianza.

Si parla quindi di relazione malata della devianza, ma esiste anche una relazione sana.

Per capire questo concetto si deve considerare la devianza non come male o crimine, ma come lo scostarsi o l’adeguarsi alle regole.

Laddove da un lato c’è chi stabilisce le regole e dall’altro chi le rispetta, esiste un etichettamento, ma è sano perché positivo e chi si etichetta come “brava persona” non subisce uno stigma.

Criminale per natura o per reazione?

Gli autori che cercano di spiegare la devianza si rifanno a diversi approcci.

Cesare Lombroso riteneva la devianza innata in alcuni soggetti ad esempio.

Albert Bandura parlava di disimpegno morale.

Secondo la labeling theory invece la devianza sarebbe non tanto un comportamento innato o appreso che la società punisce, ma una reazione alla punizione per essere diverso.

Tra chi si conforma alle norme e chi devia in fondo non ci sarebbe una sostanziale diversità, nel senso che ciascuno avrebbe gli stessi bisogni che la società sarebbe o non sarebbe in grado di soddisfare.

Nel secondo caso, complici le etichette, si diventerebbe un deviante.

Intanto dobbiamo comprendere che il comportamento deviante non è necessariamente un reato, ma consiste nel distaccarsi dalle norme morali (prima ancora che giuridiche) imposte dalla società.

Se nella società l’uso di droga è bollato come comportamento deviante, un ragazzino che dovesse fare uso di droghe leggere verrebbe considerato negativamente (devianza primaria) ma non sarebbe ancora sanzionato o punito.

Verrebbe però etichettato e molto probabilmente emarginato.

Alla fine egli si identificherà con quell’etichetta, percependosi un drogato perché tutti lo trattano come tale.

È proprio qui che si instaurerebbe la devianza secondaria.

L’etichettamento quindi, secondo questa teoria che è stata molto importante, causa una discriminazione verso i membri più fragili della società, che finiscono per conformarsi a ciò che la società si attende da loro.

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Fonti utilizzate


Becker, H. S. (1963). Outsiders. Studies in the Sociology of Deviance1.

Economou, M., Bechraki, A., & Charitsi, M. (2020). The stigma of mental illness: Α historical overview and conceptual approaches. Psychiatrike= Psychiatriki31(1), 36-46.

Sbordoni, S., (1998) Le nozioni di devianza primaria e devianza secondaria in Edwin M. Lemert, in Rivista Altro Diritto, Pacini Giuridica Ed.   

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