Olindo Romano e Rosa Bazzi: vittime o mostri? Analisi della strage di Erba CON VIDEO

Olindo Romano e Rosa Bazzi: vittime o mostri?  Analisi della strage di Erba CON VIDEO

Olindo Romano e Rosa Bazzi sono stati descritti come dei veri e propri mostri.

Quanto c’è di vero in tutto questo?

L’11 dicembre del 2006, nella provincia di Como, nel paese di Erba, Raffaella Castagna, 30 anni, il piccolo figlio Youssef, 2 anni, la madre Paola Galli, 60 anni, e Valeria Cherubini, 55 anni, una vicina di casa, vengono uccisi. Il marito di Valeria, Mario Frigerio, 65 anni, viene accoltellato alla gola nel tentativo di salvare sua moglie, e sopravvive al massacro.

Ad oggi, per quel terribile delitto, sono stati condannati in via definitiva i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, che dopo una prima confessione hanno ritrattato, professandosi ancora oggi innocenti. Una testimonianza all’apparenza schiacciante, quella di Frigerio, che si è però mostrata probabilmente suggestionata, una confessione quanto meno dubbia, alcune prove contrastanti e ipotesi alternative sul vero colpevole. Ancora oggi ci si divide tra due versioni: i coniugi Romano sono due mostri che hanno ucciso per una banale incomprensione tra condomini, o sono invece due vittime rimaste schiacciate da un terribile errore giudiziario? Questa è la storia della strage di Erba.

La strage di Erba: 11 dicembre 2006

L’11 dicembre del 2006, dalla palazzina ‘Condominio del Ghiaccio’, che si trova in via Diaz a Erba, esce del fumo. Sono le 8 e 20 di una sera di fine autunno, e ad accorgersi del fumo sono due condomini. Tra di loro vi è anche un vigile del fuoco fuori servizio. Immediatamente i due, non immaginando cosa avrebbero trovato, si precipitano per le scale e si imbattono in Mario Frigerio, attinto da una profonda coltellata alla gola e riverso a terra, con la testa all’interno dell’appartamento e il corpo sul pianerottolo. Come prima cosa, trascinandolo, lo portano fuori per salvarlo dal fumo. Subito dopo si accorgono di Raffaella, e portano fuori anche lei, ma per la donna è troppo tardi, è già morta. Frigerio, non riuscendo a parlare, prova a indicare ai due soccorritori di salire al piano di sopra.

Nell’appartamento sovrastante però non si riesce a entrare, per via del troppo fumo e del fuoco. Si sentono delle urla, diranno, ma è impossibile accedere. Tutto quello che i due uomini riescono a fare è chiamare i soccorsi. I vigili del fuoco spegneranno le fiamme, ma non troveranno superstiti. Spetterà al RIS il sopralluogo sulla scena del crimine.

La strage di Erba: il sopralluogo del RIS

Al Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri, il RIS, spetta il compito di ricostruire la criminodinamica del delitto. I militari, coadiuvati dai Vigili del Fuoco, si trovano davanti a 4 vittime e un ferito in fin di vita. Frigerio è salvo, Raffaella è morta, così come è morta Valeria Cherubini. Si trova nella tipica posizione da difesa, come scrive il medico legale accorso sul luogo del delitto: ‘è in ginocchio con il volto riverso a terra a pochi centimetri dalla portafinestra, con le braccia a proteggersi il viso. Qualcuno l’ha attinta con armi da punta e da taglio che le hanno lasciato ferite su tutto il corpo, oltre a, come si dice in termini medico legali, presentare una ferita da scannamento alla gola, simile a quella che ha colpito Mario.

Erba: il sopralluogo controverso

Il sopralluogo si dimostra alquanto complesso e purtroppo anche molto contraddittorio. Si rinvengono ad esempio delle tracce di sangue femminile che però non è compatibile con nessuna delle donne uccise. Non si trova l’arma del delitto, e poi c’è quella testimonianza degli inquilini del piano di sotto, secondo i quali prima del rientro di Raffaella in casa si erano uditi dei passi in mansarda. Qualcuno attendeva le vittime per ucciderle?

Raffaella muore, secondo l’autopsia, a causa delle lesioni alla testa inflitte da una spranga, ma nonostante questo viene anche accoltellata 12 volte e sgozzata. La stessa sorte tocca alla mamma, Paola Galli, mentre il piccolo Youssef viene ucciso con un solo colpo che gli recide la carotide, provocandone il dissanguamento mentre si trova sul divano in casa.

A gridare doveva essere stata Valeria, trovata anch’essa senza vita, e sulla dinamica della sua uccisione si verificherà il primo scontro di perizie. Secondo i PM infatti gli assassini l’aggrediscono e la uccidono sulle scale, secondo la difesa degli imputati invece la uccidono in casa. Deve aver lottato con gli assassini, che le hanno inferto, secondo il medico legale, 34 coltellate e 8 sprangate. Muore per soffocamento da monossido di carbonio, prima che si riesca a raggiungerla, ma qualcosa comincia fin da subito a non tornare.

Strage di Erba: cosa non torna

La prima evidenza che appare riguarda proprio Valeria. Quando arrivano i primi soccorritori, si sentono delle grida provenire dal piano superiore, quindi la donna è ancora viva. I rilievi sul suo corpo affermeranno che gli assassini erano due, e uno di loro è mancino. Ora, se i soccorritori hanno udito delle grida, ciò significa anche che la profonda ferita alla gola non era stata ancora inflitta, altrimenti Valeria non avrebbe potuto di certo urlare. Ma se Rosa e Olindo in quel momento non erano al piano superiore, come avrebbero potuto compiere il delitto, oltretutto visto che la donna poteva ancora urlare?

La perizia medico legale di Erba

Non è tutto. Il medico legale accorso per primo sulla scena del crimine è Giovanni Scola. Effettua i primi rilievi direttamente nella palazzina. Le sue relazioni, a distanza di appena un anno, saranno però diverse, e di molto. Nella prima, quella preliminare dell’8 gennaio del 2007, Scola scrive che Valeria è morta nella mansarda, attinta da un’arma con un angolo acuto. Nel febbraio del 2008, al contrario, afferma che Valeria è morta sulle scale, attinta da un oggetto con angolo smusso, cioè l’opposto di quello che aveva affermato precedentemente.

Ma se Valeria si trovava nel suo appartamento, la violenza con cui gli assassini l’avevano colpita non le avrebbe permesso di salire le scale, e sulle scale si sarebbero comunque dovute trovare abbondanti tracce di sangue che non c’erano. Si trova del sangue sul balcone di casa Castagna, ma secondo lo stesso RIS quel sangue non è ‘ scientificamente interpretabile’. Lo si legge nel rapporto dell’Arma, in cui si evidenzia una frase davvero importante. Lo stesso generale Garofano scriverà che ‘Nonostante gli sforzi analitici compiuti i profili genetici relativi alle vittime sono stati ottenuti unicamente da tracce acquisite sulla scena del crimine, mentre i profili genetici relativi agli indagati da oggetti e tracce nel loro appartamento’.

Non solo, un corretto sopralluogo avrebbe imposto di non spostare il corpo esanime di Raffaella Castagna, ormai deceduta. Seppur comprensibile nello sforzo dei soccorritori, il fatto di averla spostata impedirà di determinare l’esatto svolgimento del delitto dalla posizione del corpo. La criminodinamica era compromessa.

Le prime ipotesi investigative: entra in scena Azouz Marzouk

Le indagini degli inquirenti, partite immediatamente, si concentrarono inizialmente su Azouz Marzouk, padre di Youssef e marito di Raffaella Castagna. A pesare su di lui sono i precedenti penali per spaccio di stupefacenti, e l’ipotesi sembra essere quella di un regolamento di conti, una vendetta trasversale ai danni della sua famiglia che coinvolge anche altri innocenti. Ma Marzouk possiede quello che si definisce un alibi di ferro, perché in quei giorni si trova in Tunisia.

Azouz Marzouk scagionato per la strage di Erba

Ad oggi Marzouk è estraneo ai fatti, ma alcune evidenze che lo riguardano vanno a comporre delle piste che forse non si sono mai battute a sufficienza. Marzouk era stato in carcere per i reati connessi allo spaccio, e qui sarebbe stato aggredito. La motivazione, si disse, poteva essere ricercata in un’aggressione sessuale che l’uomo avrebbe compiuto ai danni del figlio di un presunto ‘ndranghetista anch’egli detenuto. Il pericolo per lui era talmente grave da comportare addirittura il trasferimento in un altro penitenziario.

Le minacce a Raffaella Castagna

Nello stesso periodo Raffaella, sua moglie, sarebbe stata avvicinata da individui in un’auto che l’avrebbero minacciata intimandole di stare attenta. Lo confermò anche Fabio Schembri, quello che sarebbe diventato da lì a poco il legale di Rosa Bazzi e Olindo Romano, quando disse ‘Nel corso delle indagini risultò infatti che Raffaella aveva subito delle minacce, era stata avvicinata da una macchina e le venne detto di stare attenta. Qualcuno aveva aggredito Azouz in carcere nello stesso periodo, la situazione era talmente ingestibile che dovettero trasferirlo in un’altra casa circondariale’.

Anche il giornalista investigativo Felice Manti suggerì delle piste, che ravvisò in ‘quella che porta al traffico di sostanze stupefacenti, quella della guerra tra bande e quella di Azouz e gli albanesi. Piste forse tracciate, magari non abbastanza, oppure non ritenute valide. Sta di fatto che Marzouk, scagionato, puntò da subito il dito, per poi ritrattare con vigore anni dopo, contro i due coniugi Romano.

Olindo Romano e Rosa Bazzi: la confessione

A poco meno di un mese dalla strage, il 9 gennaio del 2007, le forze dell’ordine arrestano Rosa Bazzi e Olindo Romano. I PM incaricati delle indagini, il dottor Massimo Astori, il dottor Antonio Nalesso e il dottor Mariano Fadda, procedono a un interrogatorio che porterà alla controversa confessione dei due e che permetterà di convalidare il fermo.

Confessare un delitto però non fa dell’individuo il colpevole. Nel nostro ordinamento giuridico esiste infatti il reato di autocalunnia. Quando si afferma di essere l’autore di un omicidio, lo si deve dimostrare. Inizialmente la confessione appare coerente con i fatti, ciò che spinge gli inquirenti a dar credito ai due. I dettagli raccontati sembrano combaciare con gli esiti dell’autopsia sulle vittime, anche se stranamente quando Rosa e Olindo ritratteranno, alcuni punti della stessa perizia medico legale si cambieranno.

L’interrogatorio di Rosa Bazzi

Dallo stralcio dell’interrogatorio di Rosa Bazzi leggiamo ‘ci pensavamo da tanto tempo. Non ne potevamo più da anni di quelli lì, non si poteva andare avanti. Siamo stati noi. Volevamo solo dare una bella lezione a quella del piano di sopra, riferendosi a Raffaella. Se però questa terribile ammissione sconvolge gli inquirenti, esiste un’intercettazione del 10 gennaio 2007 in cui si sente chiaramente Olindo Romano dire alla moglie che vuole confessare altrimenti i due non potranno stare più insieme.

Ecco il testo di quell’intercettazione: Olindo: ‘Ho parlato con il magistrato…mi ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui…di dire la verità’

Olindo Romano e Rosa Bazzi: l’intercettazione tra i coniugi

Rosa: ‘Ma non c’è niente da dire’.

Olindo: ‘Lui mi ha detto così…ci tengono qui perché devono fare ancora delle indagini. Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente ti ha fatto solo l’alibi ecc., ecc… E non becchi niente’.

A quel punto Rosa prova a dissuadere Olindo, e dice ‘non è vero […] che cosa c’è da confessare… non siamo stati noi’.

La confessione di Rosa Bazzi

Ma subito dopo, nell’interrogatorio di Rosa, alle ore 15 e 25, la donna dirà: ‘Intendo rendere piena confessione, ho fatto tutto da sola, mio marito non c’entra nulla…ho visto arrivare Raffaella da sola a piedi, entrare a casa sua. Improvvisamente ho deciso di raggiungerla sul pianerottolo… Avevo staccato il suo contatore. Sono entrata portando con me un coltello da cucina e… ho fatto tutto io…mio marito mi ha aiutato per l’incendio’.

A quel punto Olindo, informato della confessione della moglie, tenta di scagionarla e di accollarsi il delitto. Sono stato io, dice, mia moglie non c’entra.

Confessioni precedute da confidenze che parlavano del terrore di essere separati che non sono state tenute forse in debita considerazione.

Dichiarazioni forzate, indotte magari, comunque contrastanti. Confessioni che però erano quello che tutti volevano: i mostri erano stati finalmente consegnati alla giustizia. Rosa Bazzi e Olindo Romano finiscono in carcere.

Torneremo su questa confessione che ha moltissimi punti controversi, e analizziamo l’altra prova regina, anch’essa assolutamente controversa: la testimonianza di Mario Frigerio.

La testimonianza di Mario Frigerio

Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage ma deceduto nel 2014, rilascia testimonianza dopo l’aggressione. Dobbiamo attentamente considerare una cosa prima di ascoltare le sue parole. La psicologia della testimonianza spiega chiaramente come le vittime di aggressioni abbiano ricordi a volte errati di quanto è accaduto, perché il trauma dell’esperienza li può portare a interpretare male i fatti e quindi a richiamarli male.

L’effetto arma: the weapon effect

Esiste un noto fenomeno che si definisce weapon effect, cioè effetto arma, e che consiste nel fatto che quando qualcuno ci aggredisce con un coltello o una pistola, siamo talmente presi a osservare con terrore quell’arma che non facciamo caso ai dettagli, anche quelli che riguardano il volto dell’aggressore. Ebbene, Mario Frigerio, nonostante lo shock e le ferite, e nonostante renda una testimonianza a dir poco suggestionata, si ritiene il testimone chiave. La sua parola fu decisiva per la condanna dei coniugi Romano. Suggestione e falsi ricordi sono i due elementi chiave per invalidare una testimonianza, ma in questo caso non si è voluta ammettere la possibilità che ciò fosse accaduto, anche se in buona fede.

Frigerio viene colpito alla gola con una coltellata che gli recide quasi la carotide, in un contesto caotico e di terrore, intossicato da monossido di carbonio che può provocare amnesia dopo il fatto, ma nonostante questo le sue prime parole non sono ‘è stato Olindo’. Le sue prime parole sono di aver visto ‘un soggetto maschio, con la pelle olivastra, tanti capelli neri, occhi neri, mascella grossa’.

I ricordi di Mario Frigerio sono stati suggestionati?

Un ricordo nitido al momento, tanto che nella sentenza di primo grado Frigerio si considera del tutto attendibile. Peccato che nella stessa sentenza si legge che ‘le sue dichiarazioni hanno progredito nel tempo a più riprese’, cioè a dire che nel corso delle settimane le sue dichiarazioni si arricchiscono di particolari nuovi e anche diversi dall’inizio. Particolari che in un primo momento non aveva riferito, e che hanno sempre fatto sorgere il dubbio che qualcuno li avesse suggeriti.

Vero è che i ricordi possono affiorare nel tempo, e quindi è del tutto plausibile che Frigerio abbia ricordato via via i dettagli di quella sera tragica. Eppure non si può non considerare quanto segue. Quando i ricordi che affiorano via via non sono semplici dettagli ma intere scene e volti che inizialmente si erano indicati diversi, il dubbio della suggestione e del falso ricordo instillato si fa più forte. Frigerio indica Olindo Romano come il suo aggressore non subito, e non dopo averlo ricordato un po’ alla volta, ma solo dopo che gli inquirenti gli chiedono più e più volte se possa essere stato lui. Anche in questo caso la psicologia della testimonianza parla chiaro.

Mario Frigerio ha riconosciuto Olindo Romano?

Un volto familiare si può ricordare anche a posteriori, ma non accade mai che un volto prima definito sconosciuto e non familiare si ricordi poi come noto. O Frigerio non conosceva quel volto, e infatti lo indica come un soggetto maschio, con la pelle olivastra, tanti capelli neri, occhi neri, mascella grossa, oppure avrebbe dovuto dire che non aveva riconosciuto il suo aggressore sul momento per poi capire che si trattava di Olindo Romano. Non è una prova certa naturalmente, ma ve ne sono in questo caso?

In questo caso la ricerca del mostro e la sua cattura erano talmente prioritarie da passare sopra a tutto quello che non tornava.

Tracce ambigue, reperti andati distrutti, piste alternative non battute, una confessione che si potrebbe definire concordata pur di non perdersi e una testimonianza nebulosa. Questo basta per condannare due persone a vita oltre ogni ragionevole dubbio? In questo caso è stato così. Ma cos’è che non tornava?

Strage di Erba: i dubbi restano

Sono molte le cose a non tornare in questo caso che secondo la giustizia italiana e dopo 3 gradi di giudizio ha i suoi colpevoli. Tuttavia l’Italia è il Paese dei clamorosi errori giudiziari, e domandarsi se davvero i colpevoli siano in carcere e in giro non vi sia ancora un assassino spietato è doveroso.

I dubbi su Olindo Romano e Rosa Bazzi

I primi dubbi del resto sono emersi fin da subito e durante le stesse indagini. Come mai sulla scena del crimine, un crimine tanto efferato da far dichiarare al P.M. Massimo Astori che si trattava di uno ‘dei crimini più atroci nella storia del nostro Paese‘, non si rinvengono tracce di sangue dei due assassini? Olindo e Rosa non sono certo esperti di sopralluoghi e soprattutto non sono pratici di tecniche di assalto come sembrano essere coloro che hanno compiuto con lucidità, freddezza ed estrema coordinazione una mattanza calcolata e spietata. Su questo punto ad esempio si baseranno diverse relazioni tecniche tese a scagionare i coniugi.

La dinamica della strage di Erba

Secondo l’accusa infatti tutta la dinamica si sarebbe svolta nell’arco di pochi minuti, compresi tra le 19:50 dell’11 dicembre del 2006 e le 20:20 della stessa sera, momento in cui, dopo aver eliminato diverse persone come in un’esecuzione, anche abitanti in appartenenti diversi, Olindo e Rosa avrebbero appiccato l’incendio e sarebbero usciti tranquillamente a mangiare.

Peccato che i primi soccorritori, compresi i vigili del fuoco, abbiano dichiarato di non aver visto Olindo e Rosa uscire dalla palazzina con i primi fumi. Eppure, se i due uomini accorsi immediatamente dicono di aver sentito chiaramente delle grida di donna, poi attribuite a Valeria Cherubini, gli assassini dovevano essere ancora lì dentro e Valeria ancora viva, altrimenti non avrebbe potuto gridare.

Continuando con l’ipotesi, alle 20:30 nella coorte della palazzina c’era già una folla di curiosi e i primi soccorritori, e diversi testimoni affermeranno di aver visto sicuramente l’auto dei Romano. Ciò vorrebbe dire che in soli 5 minuti, cioè subito dopo l’incendio e prima dell’arrivo delle prime persone, Olindo e Rosa sarebbero dovuti uscire dalla palazzina in fiamme, entrare in casa, cambiarsi e lavarsi senza lasciare alcuna traccia di sangue (che infatti non verrà ritrovato dal R.I.S.), poi gettare gli abiti sporchi e uscire nuovamente per prendere l’auto e recarsi al McDonald’s per cenare, il tutto sempre senza che qualcuno li notasse.

Il movente di Olindo Romano e Rosa Bazzi

Ma soprattutto, davvero una lite condominiale può portare a una mattanza del genere? Sembra piuttosto un’esecuzione, seguita dalla volontà di non lasciare in vita nessun possibile testimone, nemmeno un bambino di due anni. Un netturbino e una donna delle pulizie, di certo animati da risentimento verso quei condomini, sarebbero potuti arrivare a tanto e compiere un massacro di quel genere con tale perizia e spietatezza?

Tornando alla confessione, analizziamola nel dettaglio ripercorrendo le frasi dell’intercettazione ambientale del 10 gennaio del 2007 in cui Olindo comunica a Rosa di volersi accusare.

La confessione di Olindo Romano

Olindo dice: ‘Ascolta. Ho parlato con il magistrato. Lui mi ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui… di dire la verità. Rosa ribatte: ‘Ma non c’è niente da dire’. I due vanno avanti, in un botta e risposta che apparentemente non lascia dubbi, i due non stanno confessando, tutt’altro.

‘Non c’è niente, Olli’, continua Rosa, ‘è tutto stato… Una cosa che hanno… Hanno fatto tutto loro, ancora adesso torno a ripeterglielo, glielo ho detto cento volte’.

‘Loro mi hanno spiegato la situazione in termini pratici’, incalza Olindo riferendosi ai magistrati. ‘Mi ha spiegato e mi ha detto che… Loro ci tengono qui perché devono fare ancora delle indagini…Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente, ti ha fatto solo l’alibi ecc., ecc… E non becchi niente…’.

Olindo Romano e Rosa Bazzi confessano per non essere separati?

‘Ma non è vero, Olli’, insiste Rosa, mentre Olindo sembra ormai convinto e continua a parlare senza quasi ascoltare la moglie che lo implora. ‘Io becco le attenuanti e finisce tutta la storia’.

‘Non è vero Olli… Non è vero’.

‘E non… Non so. O se continuare così… Lasciare fare quello che devono fare… E dopo prendere poi quello che si prende… E se non si dice… Si fa la confessione…’.

‘Ma che cosa c’è da confessare… Non siamo stati noi…’.

‘Lo so, aspetta… Per tagliare le gambe al toro… Metti che sono stato io…’.

‘ Ma quando sei andato su?’, chiede Rosa a questo punto.

‘Non lo so’.

‘Dimmi quando sei andato su?’.

‘Lo so Rosa, ma è per far finire questa storia qui…’.

‘Ma perché devi dire che non è? Non è vero niente Olli. Sai che non è vero niente tutta questa cosa… Ancora adesso io lo dico… E torno sempre a ripetere… Ti pesa così tanto?’.

‘Stare dentro?’, dice Olindo, ‘sì’.

‘Cosa vuoi fare?’.

‘Non lo so’, conclude Olindo, ‘Se facciamo così prendiamo anche dei benefici e ce ne andiamo a casa’.

Appare chiaro, almeno da questa intercettazione, che i due coniugi non stanno confessando il delitto, ma sono spinti a confessare, come faranno infatti subito dopo, per poter restare assieme.

Eppure, come detto, una confessione non basta, si deve dimostrare quello che si confessa.

Gli errori commessi da Olindo Romano e Rosa Bazzi

E Olindo e Rosa di errori ne commettono tanti, troppi, per poter essere certi che stiano ricostruendo i fatti che realmente hanno commesso. I giornalisti del programma Le Iene, ad esempio, analizzando le confessioni e confrontandole con le risultanze dei sopralluoghi e delle perizie agli atti, hanno contato a loro carico ben 243 errori di ricostruzione.

Come non tener conto poi delle continue richieste di Rosa Bazzi ai pubblici ministeri che la interrogano per sapere se quello che dice va bene, se ‘è giusto così?’. Come non tener conto del fatto che Olindo, trovatosi davanti ai suoi errori durante la deposizione, dice esausto al P.M. ‘ma metta quello che vuole’?. Come non tener conto di tutto questo?

Eppure Mario Frigerio ha riconosciuto Olindo.

Mario Frigerio era attendibile nei suoi ricordi?

Ma anche in questo caso, troppe cose non tornano. Le prove sono necessarie in un processo certo, ma quando abbiamo smesso di dare ascolto alle persone per capire se stanno mentendo, se sono suggestionate, se non ricordano, se sbagliano?

Frigerio, attendibile nel processo di primo grado, viene intercettato nei giorni successivi alla strage, dopo essere uscito dal coma, sotto shock e con una ferita profonda alla gola che rendeva difficile comprenderne le parole. In un audio ammesso al processo e prodotto dall’accusa si sente Frigerio dire: ‘E’ stato l’Olindo, l’avevo visto’. Tuttavia la difesa, che chiederà una perizia tecnica, dimostrerà che in realtà quell’audio, ascoltato senza distorsioni e in originale, dice ‘Perché stavo uscendo, a un bel momento’.

Le intercettazioni mancanti di Mario Frigerio

Le intercettazioni del Frigerio sono molte, e controverse, ma ve ne sono alcune che incredibilmente nessuno ha mai trascritto.

Il 22 dicembre del 2006 Frigerio incontra il suo legale, Manuel Gabrielli, appena due giorni dopo aver accusato Olindo del delitto e di aver dichiarato di averlo riconosciuto. I due parlano per 20 minuti, ma Frigerio non solo non nomina mai Olindo, ma si dice confuso e non ricorda nulla di quello che è accaduto, come del resto è comprensibile che sia.

Dopo altri 2 giorni, il 24 dicembre, Frigerio incontra i figli e, di nuovo, lo intercettano.

Nel corso di quella conversazione, che nessuno trascrive, l’uomo dice chiaramente che non vuole incontrare i magistrati perché non ha niente da dire in quanto non ricorda niente. Perché allora appena 4 giorni prima aveva indicato Olindo al comandante Luciano Gallorini, o almeno così riferiva quell’audio controverso? Perché nessuno ha trascritto queste intercettazioni? Si può parlare di suggestione e di falsi ricordi in Frigerio? A Frigerio, appena uscito dal coma e sotto shock, sentirsi ripetere per 10 volte il nome di Olindo può aver impiantato un’informazione falsa? Secondo il professor Piergiorgio Strata, neurofisiologo e professore di Neuroscienze presso l’Università di Torino e consulente della difesa, sì. Definisce anzi questo un caso da manuale. Di prove a carico per Olindo e Rosa ve ne sono, ma siamo davvero oltre il ragionevole dubbio?

Strage di Erba: le piste alternative

Andare oltre il ragionevole dubbio significa anche escludere ipotesi alternative. C’era qualcun altro che poteva volere la morte di Raffaella e che, per eliminare ogni possibile testimone, avrebbe compiuto quella mattanza? Sebbene escluso dalle indagini, Azouz Marzouk poteva essere implicato in qualche giro pericoloso o essere vittima di qualche ritorsione? Sta di fatto che un testimone tunisino che diede di sé il nome probabilmente falso di Chemcoum Ben Brahim rese spontanee dichiarazioni ai Carabinieri per due volte. Secondo l’uomo, la sera della strage e vicino alla palazzina di via Diaz, vi sarebbero stati alcuni uomini che in arabo avrebbero detto parole quali benzina, vieni subito, assassino, aiutatemi. La stessa cosa riferisce ai Carabinieri l’elettricista Fabrizio Manzeni, dirimpettaio dei Castagna, che notò delle persone sospette, la stessa sera dell’11 dicembre del 2006 fuori dall’abitazione di Marzouk.

Non sono sufficienti come piste alternative?

Le perizie psichiatriche su Olindo Romano e Rosa Bazzi

Quando si commettono dei reati tanto gravi, si chiede normalmente una perizia sulla capacità di intendere e volere. E anche per Rosa e Olindo è stato così. I giudici di primo grado però rigettarono la richiesta, e non ammisero la perizia fatta perché il tecnico si era basato solo sugli atti senza nemmeno incontrare Rosa e Olindo. Nemmeno in Cassazione è stata valutata necessaria la perizia, con la motivazione che ‘non può essere la sola efferatezza del delitto a suggerire la necessità di una perizia per valutare l’imputabilità, poiché non esiste alcun binomio automatico tra ferocia dell’aggressione e malattia mentale. Al contrario, si deve dar rilievo ai comportamenti tenuti prima e dopo il fatto dagli imputati che, dimostrando un forte controllo di sé e agendo per costruirsi un alibi, possono essere ritenuti espressivi di un non interrotto contatto con la realtà’.

Ma diversi consulenti hanno invece effettuato delle perizie affermando quanto segue.

Olindo Romano e Rosa Bazzi: vittime o mostri?

Ad esempio, la psicologa del carcere di Como in cui Rosa e Olindo si trovavano in custodia cautelare, la dottoressa Graziella Mercanti, riferirà di un patto mortale contratto tra i due che decidono di uccidersi se verranno separati.

Secondo Nunzia Chieppa, poi, consulente della difesa, Olindo e Rosa sono affetti da quella che si chiama follia a due, affetti da schizofrenia paranoide per la quale il mondo è una minaccia e l’unico modo per sopravvivere è restare insieme.

Questo non può essere messo in relazione con la confessione finalizzata proprio a restare insieme?

Olindo Romano e Rosa Bazzi oggi

Olindo e Rosa stanno attualmente scontando l’ergastolo, lui ad Opera e lei a Bollate. Nel 2014, i difensori dei due coniugi, hanno presentato un’istanza alla Procura di Como e a quella di Brescia per eseguire nuovi accertamenti, ma le Procure l’hanno rigettata con la motivazione della non competenza.

Nel 2017 la Cassazione ha ammesso nuovi elementi di prova al riesame, portando la Corte d’Appello di Brescia a procedere con nuove analisi sui reperti. Tuttavia, nel gennaio del 2018, la stessa Corte d’Appello ha dichiarato che l’incidente probatorio era inammissibile. Queste le motivazioni: ‘La richiesta deve ritenersi funzionale a una, seppure futura ed eventuale, richiesta di revisione. Tale richiesta deve essere, seppur in astratto, rigorosamente orientata e in grado di scardinare le prove già acquisite e che hanno costituito il giudicato. In altri termini, la richiesta di incidente probatorio deve avere un’astratta potenzialità distruttiva del giudicato con il quale si deve in qualche modo confrontare’. Nulla di fatto.

Olindo e Rosa si dichiarano innocenti

Olindo e Rosa hanno ritrattato, già nel processo di primo grado del 2008, ma nel 2018 il Romano è stato intervistato dalla trasmissione Le Iene per affermare ancora ‘Non siamo stati noi’.

‘Non sono il mostro della strage di Erba’, dice nell’intervista. Ecco alcuni stralci originali:

‘Mi ero convinto che il minore dei mali, da quello che mi avevano detto, era pentirmi e confessare. Solo che, cosa confessavo? Noi non abbiamo ucciso nessuno, ma in quel momento dovevo inventarmi qualcosa. Così ho raccontato le notizie che avevo raccolto il mese prima che ci arrestassero tramite i giornali e la televisione e quello che mi dicevano i Carabinieri. Così ho pensato di riuscire a fare una confessione abbastanza decente. Ma io sono in carcere perché ci hanno scambiati per quello che non eravamo’.

Poi dice che il cappellano e la psicologa dell’istituto penitenziario in cui si trovavano in custodia cautelare, li convinsero a dire la verità, trattandoli come essere umani e non come bestie, e da quel momento, grazie anche al cambio di avvocato che li seguiva inizialmente, hanno iniziato a combattere per la verità.

Olindo Romano e Rosa Bazzi sono colpevoli o innocenti?

Una verità che forse non sarà mai scritta completamente. Forse Olindo Romano e Rosa Bazzi sono realmente colpevoli, ma i dubbi e le incongruenze sono tali e tanti da far sorgere quantomeno il sospetto che non tutto sia come sembra.

L’odio tra vicini, le denunce, le minacce c’erano, ed erano reali, e quello ha costituito il movente, un movente però troppo fragile per una mattanza del genere. Il riconoscimento di Frigerio c’era, era reale, ma poi si è scoperto che molte intercettazioni che avrebbero potuto smentire quel riconoscimento non vennero trascritte. La confessione dei coniugi Romano c’era, ed era reale, ma si è capito che poteva essere stata estorta in cambio della promessa di restare assieme.

Le vittime soprattutto ci sono state, e sono loro che vanno ricordate. Tuttavia il dubbio resta, un dubbio che ci riporta al sospetto che non tutto quello che era indispensabile sia stato fatto, che si sia presa per buona una confessione poi ritrattata e che non si siano volute vedere le incongruenze, gli errori, le mancanze. C’era il colpevole, c’era il testimone, e si doveva chiudere quel caso atroce per ridare pace al Paese. Una frase però riecheggia nelle aule dei Tribunali in cui il ragionevole dubbio viene taciuto, non viene ascoltato, ed è la frase di Cesare Beccaria che recita: ‘Il giudice non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto’.

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