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Era il 17 maggio del 2015 quando Marco Vannini è stato lasciato morire.
Dalla sua fidanzata Martina, infermiera, dal padre di lei, il maresciallo della Marina militare distaccato ai servizi segreti Antonio Ciontoli, e da tutta la famiglia in un modo assurdo.
Questa è la storia di Marco, un’altra assurda storia italiana.
Una storia che ricorda quella di Elisa Claps, quella di Serena Mollicone, quella di Yara Gambirasio, tutte lasciate morire agonizzanti mentre avrebbero potuto salvarsi.
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La maledetta sera in cui Marco Vannini venne lasciato morire
A Ladispoli, località marittima del litorale romano, sono circa le 23:41 di domenica 17 maggio 2015.
Marco Vannini è a casa della sua fidanzata, Martina, con la quale si era appena rimesso insieme. Assieme a loro, tutta la famiglia Ciontoli.
Papà Antonio, classe 1968, maresciallo della Marina militare; mamma Maria Pezzillo, il fratello di Martina Federico Ciontoli con la sua ragazza Viola Giorgini, e poi lei, Martina, appena ritrovata.
Verso le 23:00 Marco, un ragazzo coscienzioso e figlio unico adorato dai genitori Marina Conte e Valerio Vannini, chiama casa.
Resto a dormire da Martina, dice al telefono. Niente di strano, in quella casa certamente è al sicuro, avranno pensato i suoi genitori.
Marina e Valerio non immaginavano invece che il loro figlio, che sognava di entrare nelle frecce tricolori, proprio in quella casa avrebbe trovato una morte straziante e assurda.
Marco, prima di mettersi a dormire, decide di fare un bagno nella vasca, intorno alle 23:30.
Mentre si trova in bagno, nella stanza entra Antonio Ciontoli, per prendere una pistola riposta nella scarpiera. Si tratta di una beretta calibro 9, dalla quale, dirà Ciontoli, parte un colpo accidentale.
Un incidente tragico, una ferita apparentemente non mortale, qualcosa che si può risolvere con una medicazione tempestiva.
È sufficiente portare Marco al Pronto Soccorso per farlo stare subito bene.
Eppure, è in questo momento che inizia un incubo che porterà Marco a morire nell’indifferenza di chi doveva salvarlo.
Marco Vannini: l’assurda telefonata al 118
Sono le 23:41 quando alla centrale operativa dell’ARES 118 della regione Lazio arriva una telefonata molto strana.
All’operatrice in servizio risponde un ragazzo, Federico Ciontoli, che dice che un ragazzo sta male, non respira, che è stata colpa di uno scherzo.
L’operatrice riferirà di sentire anche una voce di donna che dice “il ragazzo è nella vasca, stava facendo il bagno”.
Poi la voce di un altro uomo, non si capisce bene cosa dica, ma la donna afferma che non c’è più bisogno dei soccorsi.
E il ragazzo riattacca.
Sono passati 6 minuti dalla mezzanotte quando al 118 arriva una seconda telefonata.
Al telefono questa volta c’è Antonio Ciontoli. L’uomo dice adesso che c’è un ragazzo a casa sua che è caduto nella vasca da bagno. “Si è bucato un pochino con un pettine a punta“, aggiunge, “e si è spaventato“.
Nonostante Ciontoli cerchi di sdrammatizzare, l’operatrice del 118 sente distintamente la voce di un ragazzo che si lamenta, urla e dice “basta, ti prego, basta”.
L’ambulanza per Marco Vannini chiamata quando è troppo tardi
22 minuti dopo la mezzanotte un’ambulanza arriva in via Alcide De Gasperi, davanti a una villetta residenziale vicino alla stazione di Ladispoli. È la casa della famiglia Ciontoli.
A quel punto le farneticazioni di quella famiglia dell’orrore si fanno inverosimili.
“Il ragazzo da soccorrere è un po’ svenuto“, dice Antonio Ciontoli ai paramedici. “Ha un attacco di panico, è solo ansia”.
Aggiunge che il ragazzo, Marco, si stava facendo la doccia nella vasca quando è caduto, ferendosi con un pettine a punta. Nonostante le rassicurazioni sconclusionate di quella famiglia, i paramedici capiscono la gravità delle condizioni di Marco.
Arriva un elisoccorso con destinazione Policlinico Gemelli di Roma, ma il mezzo dovrà atterrare due volte prima di giungere all’ospedale.
Marco sta troppo male.
Sono le 3 del mattino quando Marco Vannini muore, dopo ore di agonia.
Quella ferita banale che si sarebbe fatto con un pettine era stata provocata da un’arma da fuoco che gli ha perforato il polmone arrivando al cuore.
Non c’è niente da fare.
Il processo di primo grado per l’omicidio di Marco Vannini: 23 maggio 2016
A ricostruire la dinamica dei fatti, mai veramente chiarita, ci aiutano i processi.
Il 23 maggio del 2016 si apre in Corte d’Assise di Roma il processo per la morte di Marco Vannini.
Imputati i Ciontoli, tutti, che devono rispondere davanti alla giustizia di omicidio volontario in concorso.
Secondo il Pubblico Ministero “hanno ritardato i soccorsi fornendo informazioni scarse e contrastanti sull’incidente e sulle condizioni del ragazzo”
Lo strazio dei genitori di Marco Vannini: diteci com’è morto nostro figlio
Nonostante 3 gradi di giudizio abbiano stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che Marco Vannini abbia trovato la morte in casa Ciontoli quella maledetta notte del 17 maggio del 2015, i genitori di Marco non si danno pace.
Marina, la mamma, in un’intervista rilasciata a “La Stampa” nel gennaio 2024 afferma, ancora oggi, di non sapere esattamente ciò che accadde in casa Ciontoli.
Si rallegra però del fatto che la Cassazione, come vedremo,annullerà, lo chiama, “l’enorme sconto di pena dato in Appello”. Sì, perché accadrà anche questo.
La sentenza di primo grado per la famiglia Ciontoli: colpevoli, Marco si poteva salvare
Uno degli aspetti più tragici di questa vicenda riguarda il fatto che tutti quelli che sono stati ascoltati, dai testimoni ai paramedici, ai medici fino ai periti, hanno detto la medesima cosa: se i soccorsi fossero stati chiamati subito, Marco oggi sarebbe vivo.
Questo non solo fa rabbia per l’indolenza e la malafede dei Ciontoli, ma ci fa pensare a Marco, solo, spaventato, sofferente, che si chiedeva perché gli stesse accadendo tutto quello, e soprattutto perché quelle persone di cui si fidava lo stessero lasciando morire.
Il fatto è che il ritardo nella chiamata al 118 dipendeva dal tentativo di nascondere la propria responsabilità nell’incidente. Ma fu proprio questo a causare la morte di Marco.
Il 18 aprile del 2018 Antonio Ciontoli viene condannato a 14 anni di carcere con l’accusa di omicidio volontario.
Tre anni alla moglie e ai figli per omicidio colposo.
L’omicidio volontario, disciplinato dall’articolo 575 del nostro Codice Penale, è l’accusa più grave che si possa avere. Significa che Antonio Ciontoli ha ucciso Marco con la consapevolezza di quello che stava per fare.
Chi commette omicidio colposo invece, per quanto responsabile della morte di un altro essere umano, non voleva uccidere, na le sue azioni hanno determinato il fatto.
Di quale sconto di pena parla mamma Marina?
Il processo di appello per l’omicidio di Marco Vannini: 29 gennaio 2019
Il 29 gennaio del 2019, la Corte d’Assise d’appello stabilisce, riguardo alla morte di Marco Vannini, che Antonio Ciontoli non dovrà più scontare 14 anni, ma 5. Anche per lui quindi, nonostante la Procura Generale avesse chiesto la conferma dei 14 anni inflitti in primo grado, i giudici parlano di omicidio colposo. È stata colpa sua se Marco è morto, ma è stato un incidente, non voleva.
Per Maria Pezzillo, Martina e Federico vengono confermati i 3 anni.
La Cassazione ribalta le sentenze sull’omicidio di Marco Vanni
Il 7 febbraio del 2020, il processo sulla morte di Marco Vannini arriva in Cassazione.
Le sentenze di secondo grado vengono annullate. I giudici dunque, con grande sollievo dei genitori di Marco, accolgono i ricorsi della Procura Generale e delle parti civili e con la sentenza n. 134/2020 stabiliscono che quello di Marco fu un omicidio volontario con dolo eventuale.
Una sottigliezza giuridica forse: vuol dire che l’assassino non punta a uccidere volontariamente e in modo premeditato, ma è consapevole che con le sue azioni l’altro potrebbe morire. E sceglie di non fermarsi.
Una sottigliezza che consente alla prima sezione penale della Cassazione di affermare che “la morte di Marco Vannini sopraggiunse dopo il colpo di pistola ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” e che questi “rimase inerte ostacolando i soccorsi”.
Ancora, che la morte fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che dalla mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”.
Tutto da rifare dunque, si torna a celebrare il processo d’Appello bis.
Questo perché la Cassazione non può entrare nel merito del processo, ma ne giudica la forma.
Qualcosa nel secondo grado non è stato svolto correttamente. La Consulta, dopo l’annullamento della sentenza del gennaio 2019, rinvia gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Roma.
Parte il processo d’Appelo bis per l’omicidio di Marco Vannini
È il 30 settembre del 2020 quando Antonio Ciontoli si vede comminare nuovamente 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale.
La moglie e i figli ricevono una condanna con un nuovo capo d’accusa, il concorso anomalo.
Anche in questo caso è la legge che fa la differenza. Essere accusati di concorso anomalo in un caso di omicidio significa che uno degli autori voleva uccidere, e gli altri lo hanno aiutato.
Questa differenza fa passare a 9 anni e 4 mesi di carcere la condanna per il resto della famiglia Ciontoli.
Ancora, la legge interviene e cambierà nel corso del secondo processo in Cassazione del 3 maggio 2021, la fattispecie di reato per Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico, colpevoli adesso non più di concorso anomalo ma di concorso semplice attenuato dal minimo ruolo e apporto causale.
Per Marco però non cambia nulla.
Così come non cambia nulla per mamma Marina e papà Valerio, che dopo anni di processi, di ritrattazioni, contraddizioni e lacune, non conoscono ancora le ultime ore di vita del loro Marco.
Come è morto Marco Vannini: una vicenda definita disumana
Quello che emerge dagli atti, anche se solo i Ciontoli sanno cosa sia realmente accaduto quella notte, è che Marco è morto in modo disumano.
Lo dice chiaramente il Procuratore Generale Elisabetta Ceniccola parlando di una “una vicenda gravissima e quasi disumana”.
Fu la condotta omissiva dei Ciontoli a uccidere Marco. Quando i famigliari di Antonio udirono lo sparo, accorsero in bagno.
Lì, tutti insieme, decisero volontariamente di salvare sé stessi, sacrificando Marco e venendo meno al dovere di proteggerlo e salvargli la vita.
All’asta la villetta dell’orrore in cui Marco Vannini è stato lasciato morire
Molte cose sono cambiate da quella maledetta notte in cui Marco fu lasciato morire.
La villetta in cui il ragazzo trovò la morte per mano di chi diceva di amarlo è all’asta.
La casa in cui una fidanzata infermiera e un suocero che indossava una divisa, l’hanno guardato spirare per salvarsi la vita.
La base d’asta è fissata a 157.500 euro, e il ricavato della vendita pare andrà alla famiglia Vannini.
Questo vale la vita di Marco.
Martina Ciontoli oggi e il suo nuovo fidanzato
Martina Ciontoli, cancellata dall’Albo degli infermieri di Roma per sopravvenuta mancanza dei requisiti soggettivi, è oggi in carcere.
Sta scontando la sua pena nel carcere romano di Rebibbia, con la madre e il fratello ma in reparti diversi.
Ha un nuovo fidanzato, e sconta la sua pena nel cosiddetto reparto orchidea. Qui le detenute, che condividono la cella, dispongono di un balcone e possono usare la lavanderia.
Le sue compagne dicono di lei che “fa tenerezza” quando il suo fidanzato la va a trovare. “Si vogliono bene” aggiungono. Il nostro ordinamento penitenziario si basa sul reinserimento, e quindi è conforme alla legge che Martina stia studiando in carcere per diventare operatrice di telecomunicazioni.
È conforme alla legge che abbia una nuova vita e un nuovo amore.
È giusto anche probabilmente che non faccia più l’infermiera, dopo aver lasciato morire un ragazzo che era anche il suo fidanzato.
Per Marco invece non c’è niente di giusto.
Antonio Ciontoli oggi, colpevole dell’omicido di Marco Vannini non è più Cavaliere della repubblica
Antonio Ciontoli, che si trova oggi nel nuovo complesso del carcere di Rebibbia, non è più Cavaliere della Repubblica, un titolo che si ottiene per benemerenze verso la Nazione.
Si può ottenere per meriti civili e umanitari, ma nel caso di Ciontoli, militare, sono stati i “lunghi e segnalati servizi di carriera”.
Un militare dunque, che indossava un’uniforme anche quando ha lasciato morire Marco.
Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana si legge adesso che “il sig. Antonio Ciontoli è stato privato dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Almeno questo, per Marco, era dovuto.