Lucie Blackman: la ragazza uccisa che ha fatto scoprire il serial killer giapponese Joji Obara. STORIE CRIMINALI # 8 con VIDEO e PODCAST

Lucie Blackman: la ragazza uccisa che ha fatto scoprire il serial killer giapponese Joji Obara. STORIE CRIMINALI # 8 con VIDEO e PODCAST

Quella di Lucie Blackman è una storia criminale di tristezza e di speranza.

La sua scomparsa nel 2000 e il tragico ritrovamento nel 2001 hanno permesso di scoprire un prolifico serial killer e stupratore seriale giapponese: Joji Obara, fino ad allora rimasto nell’ombra.

La tenacia della famiglia di Lucie, che non si è mai arresa e che ha sfidato il sistema giudiziario giapponese, ha portato non solo al suo ritrovamento, ma ha dato giustizia a tutte le donne vittime di Obara.

Questa è la sua storia.

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Lucie Blackman: la ragazza che ha trovato la morte in Giappone

Era il maggio del 2000 quando Lucie Blackman, ex assistente di volo della British Airways, arriva a Tokyo.

Lucie ha solo 21 anni, tutta la vita davanti e un sogno: viaggiare in Asia.

Per mantenersi trova lavoro nel quartiere del divertimento della capitale giapponese, Roppongi.

Qui fa la hostess, assieme a tante ragazze straniere che possono guadagnare molti soldi in una città costosa e sfrenata.

Non è raro che le ragazze vedano i frequentatori del club Casablanca, come scopriranno gli investigatori.

Diverse hostess raccontano di aver accettato inviti a cena che poi si concludevano al club.

Nulla di male, se non fosse per un particolare che appare davvero inquietante.

Lucie Blackman ha seguito un cliente del Casablanca: chi era?

Siamo in Giappone, in un Paese in cui non solo le ragazze ma anche gli inquirenti sono caratterizzati da un profondo pudore.

Quando Lucie scompare, nel luglio del 2000, si interrogano alcune delle sue colleghe, rivelando uno scenario ben più torbido di quanto ci si aspettasse.

Una sua amica afferma che Lucie le avrebbe detto, prima di sparire, che avrebbe fatto un giro al mare con un uomo.

Chi era quest’uomo? Che legame aveva con la ragazza inglese? E come si poteva rintracciare entrambi prima che fosse troppo tardi?

Non è tutto, perché alcune ragazze affermano di aver seguito un uomo fuori dal Casablanca, per poi svegliarsi al mattino seguente con forti dolori e un senso di stordimento.

Qualcuno le aveva drogate? Magari anche stuprate? E a Lucie era successa la stessa cosa?

Qui entra in gioco la sua famiglia.

Lucie Blackman: la sua famiglia arriva in Giappone

Nella vicenda della scomparsa di Lucie Blackman la sua famiglia ha giocato un ruolo chiave.

Lucie era partita per Tokyo con l’amica Louise Phillips. Le due ragazze avevano deciso di lavorare in Giappone per un anno. Nel maggio del 2000, entrambe hostess di volo della British Airways, lasciano il lavoro e trovano impiego nel club di Roppongi.

Quando le ragazze dovevano per contratto uscire con i clienti, questi incontri si chiamavano dōhan, letteralmente appuntamenti pagati. Proprio il primo luglio del 2000 Lucy aveva il suo dōhan, dal quale però non tornò più.

Il giorno dopo la scomparsa, quando la sua coinquilina Louise la stava aspettando a casa e non aveva idea di quello che era successo, qualcuno telefonò al numero del loro appartamento in affitto.

Lucy non tornerà, dice una voce maschile. Si è unita a una setta religiosa, e non vuole più rivedere nessuno.

Immediatamente Louise chiama il padre di Lucy, Tim Blackman, che con la seconda figlia Sophie si precipita in Giappone.

Qui si scontra con quello che sembra un muro.

La polizia giapponese non indaga sulla scomparsa di Lucie Blackman?

Tim scopre fin da subito quanto possa essere difficile la ricerca di sua figlia.

Come prima cosa si scontra con la mentalità riservata, se non chiusa, della cultura giapponese.

Quasi nessuno parla di cose imbarazzanti, investigatori e testimoni sono restii a fornire dichiarazioni.

Ma soprattutto, Tim viene a sapere che la polizia non aprirà un’indagine formale sulla scomparsa di Lucie, perché la ragazza non è cittadina giapponese.

I rapporti tra media e forze dell’ordine, inoltre, sono particolari, e le domande che Tim fa, così come i cartelli che affigge per strada con la fotografia di Lucie, sono mal visti.

In un’occasione viene fermato da un poliziotto che gli intima di rimuovere un manifesto, e Tim lo sfida: arrestami, dice, io non lo tolgo.

Fortunatamente però c’è una persona che pare poterlo aiutare.

Il ruolo del giornalista Dave Russell

Dave Russell era un giornalista e reporter che lavorava in Giappone per la rubrica “Meridian Tonigth”.

Russell si appassiona fin da subito alla storia di Lucie, e si rivelerà prezioso per la famiglia Blackman, stringendo una sincera amicizia con Tim.

Innanzitutto sa come funzionano le cose, e suggerisce a Tim il modo migliore per smuovere le acque.

Parla giapponese poi, e può aiutarlo nella comprensione degli atti ufficiali e dei colloqui con le forze dell’ordine.

Infine, conosce la stampa.

Più quel Paese cerca di mantenere il riserbo su un caso che rischia di scoperchiare un mondo di degenerazione, più Tim Blackman decide di fare rumore.

Organizza diverse conferenze stampa per dare risalto alla scomparsa di Lucie e spingere chi sa qualcosa a farsi avanti.

La polizia giapponese non gradisce quella pubblicità negativa che non solo ne mette in luce la lentezza, ma che punta un faro dritto sui club di Roppongi.

A questo punto, però, è costretta a fare qualcosa. A cominciare dal rintracciare l’uomo che ha chiamato a casa di Lucie.

La polizia rintraccia l’uomo misterioso: è Joji Obara

In tutta questa vicenda ci sono state delle figure che hanno realmente preso a cuore la storia di Lucy e delle ragazze a cui la sua morte ha permesso di avere pace e giustizia.

Non si tratta solo del giornalista, ma anche di alcuni detective giapponesi, tra cui delle donne, che ancora oggi ogni anno, rendono omaggio a Lucie Blackman nel posto in cui venne rinvenuta.

La sua scomparsa ha rivelato un mondo che non si conosceva o non si voleva conoscere, quello delle cosiddette sex workers.

Eppure il quartiere Roppongi, era pieno di club in cui le ragazze, che ufficialmente non dovevano avere contatti personali con i clienti dei bar, uscivano spesso con loro.

Durante le interviste, alcuni detective, sempre molto composti, lasciano trapelare un’emozione repressa con semplici gesti delle mani o del volto che nascondono imbarazzo e profondo dolore.

Il desiderio di rendere giustizia a Lucie e, si scoprirà durante le incredibili indagini, a tutte le ragazze vittime di un uomo misterioso, portò la polizia a rintracciare ma solo in un secondo momento la chiamata ricevuta da Louise il giorno dopo la scomparsa di Lucie.

Chi è Joji Obara, il serial killer giapponese nell’ombra del caso Lucie Blackman?

Quando la polizia rintraccia il mittente della telefonata a Louise Phillips, la coinquilina di Lucie, scopre che si tratta di un uomo coreano-giapponese, il cui vero nome è Kim Sung-jong.

Si tratta di un immobiliarista molto ricco, che aveva ereditato una fortuna dal padre, proprietario di locali di pachinko, cioè il flipper giapponese.

Sung-jong aveva appena 17 anni quando morì suo padre, e venne in possesso di un’eredità di circa 2 miliardi di yen, quasi 13 milioni di dollari dell’epoca.

Da quel momento l’uomo cambia nome, e diventa Joji Obara. Vive da solo in una villa di lusso con una governante, e sotto falso nome esce solo di notte per andare a caccia di donne.

Obara è in realtà un drogato, un sociopatico nella cui abitazione verranno ritrovati centinaia di nastri in cui l’uomo aveva registrato donne narcotizzate e vittime delle sue violenze e torture.

È lui l’uomo con cui Lucie è uscita prima di scomparire?

Per scoprirlo è necessario fare un passo indietro e unirsi alla squadra degli investigatori del caso Lucie Blackman.

Gli investigatori giapponesi che cercano Lucie Blackman

In tutta questa vicenda, oltre alle reticenze tipiche della cultura giapponese e alle difficoltà incontrate dalla famiglia, vanno menzionati alcuni detective che presero realmente a cuore le sorti di Lucie e delle altre ragazze coinvolte.

Quando la stampa giapponese iniziò a pubblicare articoli in cui ipotizzava che Lucie si fosse unita a una setta o che fosse diventata una schiava del sesso, la famiglia indignata convocò una conferenza per smentire con forza queste illazioni.

Quando il primo ministro inglese dell’epoca, Tony Blair, si recò a Tokyo per una visita programmata, Tim Blackman riuscì a coinvolgerlo nel caso e a fargli rilasciare delle dichiarazioni pubbliche su quanto fosse importante quell’indagine.

Ne seguì un’attenzione mediatica che costrinse la polizia di Tokyo ad assegnare circa 100 unità alla squadra di ricerca di Lucie. In genere a occuparsi delle persone scomparse erano in 4 massimo 5 investigatori.

Akira Mitsuzane: il sovrintendente del caso Blackman

Akira Mitsuzane era allora il sovrintendente della polizia metropolitana di Tokyo.

Quando seppe della scomparsa di Lucie Blackman, riferirà in un’intervista contenuta in un documentario sul caso, pensò che la ragazza se ne fosse semplicemente andata via da Tokyo.

Per questo cominciò a indagare sulla possibilità che Lucie nascondesse qualcosa o avesse comunque dei motivi per sparire.

Quando parlò con Tim, il papà di Lucie. le sue difficoltà aumentarono. Dirà che in qualità di rappresentante della polizia aveva il compito di aggiornare la famiglia, ma che non aveva esperienza su come relazionarsi con persone provenienti da altri Paesi.

Il padre di Lucie, per aiutarlo nelle indagini, gli chiese allora se avessero controllato le telecamere di sorveglianza nei pressi dell’appartamento della figlia.

Con suo grande sgomento venne a sapere da Mitsuzane che in Giappone non c’erano praticamente telecamere per motivi di privacy.

Alle sue dichiarazioni si aggiungeranno quelle di Masahiko Soejima.

Masahiko Soejima: ispettore aggiunto del caso Lucie Blackman

Masahiko Soejima ricopriva il ruolo di ispettore aggiunto.

Dichiarerà che allora in Giappone, vivevano e lavoravano diverse ragazze il cui visto era scaduto. Ciò le poneva in una situazione di illegalità e, confermò, non era raro che alcune di loro sparissero da un giorno all’altro senza avvisare nessuno. Era questo che aveva fatto Lucie?

In sostanza gli investigatori non erano certi che si trattasse di un crimine.

Satoru Yamashiro: un altro sovrintendente del caso Blackman

Satoru Yamashiro era un altro sovrintendente della polizia. Dirà che la squadra cui venne affidato il caso si definiva “team teramae“. Fu proprio questo team ad avvisarli che c’era un sospetto.

Il sospetto frequentava Roppongi e il club Casablanca, e quando il team teramae diede l’ordine, gli investigatori presero l’uomo in custodia per verificare se potesse essere il colpevole. Questo primo tentativo però fece un buco nell’acqua.

Yamashiro confermerà che il sospetto fermato era un semplice impiegato che frequentava la zona dei club, ma aveva un alibi che venne verificato. Non era lui Obara.

Junichiro Kuku: il sergente del caso Blackman

A quel punto la sensazione degli investigatori coinvolti in prima linea nelle ricerche di Lucie si fece chiara.

Le piste seguite fino ad allora erano inconcludenti, e si doveva ricominciare daccapo con un altro approccio.

Questa era l’opinione del sergente Junichiro Kuku.

Fu così che la squadra investigativa cominciò ad analizzare scrupolosamente i rapporti quotidiani della prima squadra, fin dal primo giorno.

Si cercava di controllare l’intera documentazione nel tentativo di capire come fossero state svolte le indagini.

La squadra si imbattè così in un rapporto che proveniva proprio da Roppongi.

Nel rapporto si leggeva di una hostess straniera che era stata invitata da un cliente regolare di un club a fare un giro in macchina al mare.

C’era scritto che la ragazza, che aveva accettato l’invito, aveva dichiarato di aver perso conoscenza e di essersi svegliata con un fortissimo mal di testa, ritenendo di essere stata drogata.

I poliziotti della prima squadra avevano sentito il gestore del locale che si era presentato alla stazione di polizia per denunciare il fatto, ma incredibilmente non gli avevano dato credito.

Poteva invece avere informazioni utili, e finalmente la nuova squadra forse, poteva avere una pista.

La pista delle ragazze dei club di Roppongi: chi era l’uomo misterioso che le drogava?

Un’altra cosa che la squadra scoprì riguardava il fatto che nel corso del tempo erano state fatte diverse segnalazioni da ragazze che dichiaravano di essere state probabilmente drogate da un uomo che le aveva invitate fuori.

Tokie Maruyama: l’ispettrice aggiunta

Alla squadra investigativa si aggiunse una donna, Tokie Maruyama, ispettrice.

Maruyama dirà che trovarono effettivamente diverse segnalazioni da parte di gestori di locali le cui dipendenti avevano denunciato la stessa cosa, senza esito.

Tuttavia quando la squadra cercò di interrogare queste ragazze, quelle straniere non volevano parlare. Certamente il fatto che Maruyama fosse una donna poteva aiutarle ad aprirsi, ma restava sempre il problema dei visti scaduti che rendeva queste preziose testimoni sfuggenti.

L’ispettrice però raggiunse lo scopo: trovò alcune ragazze disposte a collaborare.

Tutte diranno la stessa cosa: un ricco uomo giapponese ci ha drogate e stuprate. Qual era il profilo di questo stupratore seriale?

Il profilo dello stupratore seriale: il modus operandi del mostro

Pur non conoscendo ancora l’identità di quest’uomo, la squadra ne stilò un profilo.

Le sue abitudini, secondo quanto raccontavano le ragazze, erano sempre le stesse.

Le faceva salire su un’auto di lusso, poi le portava a cena e quindi al mare.

Poi le drogava.

L’ispettrice Maruyama appare molto provata quando racconta degli abusi che le ragazze le raccontano. Si scopre infatti che a Roppongi è attivo uno stupratore seriale che opera da anni indisturbato.

Ma una delle ragazze fornisce un elemento importante.

Yasuhiko Asano: l’ispettore aggiunto del caso Blackman

L’ispettore aggiunto Yasuhiko Asano riferirà della testimonianza di una ragazza australiana, Jessie, che tre anni prima della scomparsa di Lucie, subì la stessa terribile esperienza.

Alla domanda se ricordasse qualcosa di più, Jessie rispose che non solo si era appuntata il suo nome, ma che aveva anche un numero di telefono. Il nome era Juji Honda, e il numero del cellulare terminava con le cifre 330-1.

La polizia ha il numero di telefono dello stupratore seriale che ha chiamato Lucie

Controllando le chiamate fatte dal quel numero di cellulare la polizia scopre non solo che il numero era ancora attivo, ma che aveva chiamato Lucie Blackman.

Era lui lo stupratore seriale? E aveva rapito Lucie?

Quando la squadra chiese al gestore telefonico di indicare da dove provenissero le chiamate, si scoprì che il segnale rimbalzava da una zona all’altra di Tokyo.

L’area che intersecava quelle zone, secondo quello che oggi si chiamerebbe il “profilo geografico” conduceva però ad Akasaka, in giapponese “collina rossa”, una zona residenziale di alto livello della capitale.

segnali lucie blackman

Quando la squadra interrogò il manager dell’Akasaka Tower, scoprì che due appartamenti al sesto piano dell’edificio appartenevano a una società di nome Ori Hara. Il proprietario era un uomo tanto ricco quanto strano.

Possedeva diverse auto di lusso, tutte auto menzionate dalle ragazze interrogate.

Tuttavia la polizia non riuscì in un primo momento a scoprire il nome di quell’uomo così riservato da non aver mai rivolto la parola al manager o essersi fatto vedere in volto.

In sostanza, la polizia non aveva prove per ottenere un mandato.

A questo punto però un’altra ragazza venne in soccorso di Lucie Blackman.

La polizia scopre il covo dello stupratore seriale a Zushi Marina

Tra le ragazze che avevano rilasciato una dichiarazione formale ce n’era una di nome Monica, anche lei inglese.

Monica disse agli investigatori che il 10 ottobre del 1997 si era incontrata a Roppongi con un cliente che si faceva chiamare Koci.

Da Roppongi i due si erano diretti in auto verso un appartamento in un Resort con vista sull’oceano.

La ragazza ricordava un lungo filare di palme, e così gli investigatori circoscrissero l’area di Zushi Marina, l’unica con le palme e con vista sull’oceano.

Si trattava di una zona molto ricca a circa mezz’ora da Tokyo, e durante un sopralluogo Monica riconobbe il Resort.

Non solo: mostrando una fotografia alla cameriera di un ristorante nei pressi del Resort, la donna riconobbe Luci Blackman in una fotografia. Lucie, disse di esserne certa, era stata lì il 1 luglio del 2000, il giorno in cui era scomparsa. Ed era con un uomo.

Alla ricerca di Lucie Blackman: forse è ancora viva

Gli investigatori iniziano a indagare tra i nomi dei residenti di Zushi Marina.

Forse Lucie è ostaggio del maniaco, forse si trova lì, e soprattutto forse è ancora viva.

Uno dei fattori chiave era il possesso, da parte di uno dei residenti, di automobili straniere di lusso.

Fu così che venne fuori il nome di Obara. Avvenne a questo punto un fatto particolare.

Quando i detective avevano indagato a Tokio all’Akasaka Tower, avevano individuato la società Ori Hara, non riuscendo però a risalire al proprietario.

Ebbene, i caratteri giapponesi che compongono il nome Ori Hara, si possono leggere anche come O Bara.

ori hara

La cattura del serial killer Obara

La polizia arrestò Obara. Era travestito da donna e scattava fotografie oscene di nascosto in un bagno pubblico femminile.

Quando la sua foto venne mostrata alle ragazze molestate, tutte lo riconobbero.

Era lui che le aveva drogate e stuprate.

obara

Fu così che si scoprì un orrore inimmaginabile.

Joji Obara usava almeno 60 nomi diversi per frequentare i locali notturni, e in casa sua vengono trovati tranquillanti, fotografie oscene, e centinaia di videocassette che riprendono vent’anni di torture e abusi a ragazze sedate.

Sembra preferire le ragazze giovani, bionde, con i capelli lunghi e occidentali, proprio come Lucie. E infatti a casa sua, nonostante lui negherà di averle fatto del male, c’è anche una foto di Lucie.

Le adesca di notte nei locali, le porta a casa sua, le droga, le stupra, le lega, le tortura e le filma.

Arriva anche a uccidere, come è capitato nel 1992, quando una ragazza australiana muore per un’intossicazione fulminante dovuta alle droghe somministrate.

Le stime parlano di un minimo di 150 e un massimo di 400 donne stuprate, oltre ad almeno due vittime.

Nel 2001 Obara sarà accusato e processato per rapimento, stupro, smembramento e smaltimento del corpo di Lucie Blackman, ma assolto in primo grado. Dovranno passare molti anni affinchè, nel processo di secondo grado del 2008, Obara venga riconosciuto colpevole di tutte le accuse.

Si ricostruisce così la tragica storia della ragazza inglese.

Cos’è successo a Lucie Blackman?

Il 1° luglio del 2000 Lucie Blackman scompare a Tokyo.

Solo dopo molti mesi, solo dopo l’ostinazione della sua famiglia, solo dopo l’interessamento di alcuni detective giapponesi, si scoprirà l’esistenza di un serial killer e purtroppo il corpo fatto a pezzi di Lucie e nascosto sotto una vasca da bagno su una spiaggia.

Gli investigatori pensano che sia morta lo stesso giorno della sua scomparsa.

Nel suo corpo, rimasto sepolto per molti mesi, non venne trovato cloroformio, ma flunitrazepam, la droga da stupro, rinvenuta anche a casa di Obara. Lui si dichiarerà sempre innocente.

Questa storia ha permesso di scoprire un serial killer giapponese e di scoperchiare un mondo che appare davvero irreale.

Obara si è dichiarato sempre innocente, sostenendo di non aver fatto mai nulla di male, e suo fratello, appresa la notizia del suo arresto, avrebbe dichiarato “Cosa ti aspetti che accada se una ragazza entra nell’appartamento di un uomo?”

Obara ebbe anche delle ammiratrici, che seguirono il processo, quelle che si chiamano serial killer groupies.

Fatto sta che il 9 febbraio del 2001, mesi dopo la scomparsa, i resti di una donna, tra cui la testa mozzata, vengono ritrovati in una grotta vicino alla casa di Obara, e alcune testimonianze parleranno, proprio per la notte della scomparsa, di fastidiosi rumori come di sega elettrica.

Il 10 febbraio del 2001 tramite le cartelle cliniche dentali si conferma l’identità dei resti. Si tratta di Lucie Blackman.

Il 6 aprile del 2001 Obara viene accusato dello stupro e dell’omicidio di Lucie.

Si arriva al 4 luglio del 2001, quando Obara, a processo, ammette di aver trascorso la notte con Lucie ma non di averla uccisa.

Obara viene condannato all’ergastolo solo per lo stupro provato di 8 donne e per la morte della modella australiana Carita Ridgway. Viene però prosciolto da ogni accusa nel caso Blackman.

Nell’aprile del 2007 il caso arriva in appello.

Dopo molte udienze, il 16 dicembre del 2008, Obara viene condannato all’ergastolo per lo smembramento e l’occultamento del corpo di Lucie Blackman.

La madre di Lucie dichiarerà: “oggi la giustizia ha vinto, e non solo per Lucie, ma anche per tutte le vittime“.

Nel 2010 uno dei detective che seguì il caso, andò a rendere omaggio sulla sua tomba.

Gli altri, si recano ogni anno nel luogo in cui Lucie venne ritrovata.

tomba lucie blackman

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Fonte utilizzata

Missing: il caso Lucie Blackman. Netflix.

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