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La sindrome della donna maltrattata: cos’è, come si riconosce e perché dovrebbe essere riconosciuta in Tribunale
Questa è una domanda importantissima, così come importante è l’argomento del maltrattamento femminile di cui ci stiamo occupando.
Dalla definizione di maltrattamento femminile deriva anche la consapevolezza di quanto sarebbe importante riconoscere la sindrome della donna maltrattata (in inglese ‘battered woman syndrome‘) teorizzata inizialmente dalla psicoterapeuta Lenore Walker.
Partiamo subito dunque con la definizione di cosa sia la sindrome della donna maltrattata, di come si riconosca e del perché sarebbe fondamentale farla entrare in tribunale.
Sindrome della donna maltrattata: cos’è e come si riconosce
A parlare di sindrome della donna maltrattata è stata per prima la psicoterapeuta Lenore Walker. Erano gli anni ’70, e la Walker, lavorando con donne abusate, si rese conto che tutte sviluppavano un modello comportamentale tipico.
Queste donne si comportavano, e si sentivano anche, in un certo modo, e questo schema si ripeteva ogni volta.
Il punto dipartenza da cui presero le mosse gli studi della Walker era questo:
come si sente la donna maltrattata, e cosa fa per uscire dalla violenza?
Ebbene, la dottoressa Walker cominciò a capire due cose:
- la prima cosa è che la sindrome della donna maltratta ha molti tratti in comune con quella del disturbo post traumatico da stress;
- la seconda cosa è che il modello comportamentale della donna sembra replicare quello dell’impotenza appresa studiato da Seligman.
Vediamo entrambi.
Maltrattamento femminile e sindrome post traumatica da stress: perché si somigliano?
La sindrome post traumatica da stress, o disturbo da stress post traumatico, o PTSD , secondo l’APA, ‘American Psychiatric Association‘ si definisce come:
un disturbo psichiatrico che può verificarsi in persone che hanno vissuto o assistito a un evento traumatico come un disastro naturale, un incidente grave, un atto terroristico, guerra / combattimento o stupro o che sono state minacciate di morte , violenza sessuale o lesioni gravi.
Questa è proprio la definizione che ci interessa. Le donne maltrattate sono decisamente esposte a minacce o violenza (abbiamo visto le diverse forme di maltrattamento, tra cui quello sessuale).
Ora, sempre secondo l’APA, le persone affette da questo disturbo
hanno pensieri e sentimenti intensi e inquietanti legati alla loro esperienza che durano a lungo dopo la fine dell’evento traumatico. Possono rivivere l’evento attraverso flashback o incubi; possono provare tristezza, paura o rabbia; e possono sentirsi distaccati o estraniati dalle altre persone.
La dottoressa Walker ha notato proprio come le donne maltrattate per anni sviluppino questi stessi schemi di comportamento. Per lei si tratta di un sottotipo a sé stante di PTSD.
Tra l’altro, la Walker ha notato anche un’altra cosa, che rende in effetti perfettamente conto della difficoltà ad uscire dalla violenza.
Perché le donne non denunciano e non se ne vanno?
A questo può rispondere il modello dell’impotenza appresa di Seligman.
Maltrattamento femminile e il modello di Martin Seligman sull’impotenza appresa
Che cos’è l’impotenza appresa e di cosa stiamo parlando, e soprattutto cosa c’entra con il maltrattamento femminile?
Ebbene, il professor Martin Seligman ha condotto sull’argomento diversi studi, prima in laboratorio sugli animali e poi test con gli esseri umani.
Nel 1975 (quindi poco prima della teorizzazione della Walker) il professor Seligman ha definito questo stato come
una condizione in cui un soggetto impara che non può avere il controllo su una certa situazione.
Soffermiamoci meglio su questo aspetto perché è il punto chiave che poi si ricongiunge agli studi sulla sindrome della donna maltrattata.
Un conto, sarai d’accordo, è trovarsi davanti a uno stimolo dannoso una volta e non poterci fare nulla.
Altra cosa è trovarsi per anni e anni in una situazione dannosa e imparare che qualunque cosa fai non serve a nulla.
Cosa credi che succeda?
Quando si smette di provare a far cessare la violenza
Esatto, smetti di provarci.
Tuttavia, smettere di provarci (in questo caso far cessare la violenza), non significa prenderla con filosofa’ o ‘accettare’ nel senso più evoluto del termine. Significa arrendersi all’evidenza che non c’è nulla che possa cambiare la tua condizione di donna maltrattata.
E questo, naturalmente, si accompagna a rabbia, poi a depressione, infine a apatia.
Seligman scoprì questo terribile stato prima nei cani. Mise due cani in due gabbie diverse.
Al primo cane diede delle scosse elettriche ma mise nella gabbia anche una leva per interromperle. Il cane imparò che premendo la leva le scosse cessavano. Quindi era sottoposto, è vero, a una condizione stressante, ma poteva fermarla. In effetti lo faceva.
Al secondo cane invece furono somministrate solo le scosse, ma non c’era nella sua gabbia alcuna leva. Così il secondo cane, dopo aver provato inutilmente a far cessare lo stimolo doloroso, semplicemente smise di provarci.
La cosa ancora più terribile (e con questa parte Seligman capì e teorizzò il concetto di impotenza appresa) accadde quando i due cani vennero messi in un’altra gabbia.
Si trattava di una gabbia divisa in due: da una parte agli animali venivano date le scosse, mentre semplicemente saltando nell’altra gabbia senza scosse, si poteva evitare il dolore.
Ebbene, il cane che aveva appreso di non poter evitare il dolore, non provò nemmeno a saltare per sottrarsi alle scariche.
Aveva imparato l’impotenza., aveva appreso di non poter cambiare le cose.
La stessa cosa accade agli uomini, o meglio alle donne maltrattate.
E infatti il successivo esperimento di Seligman sugli uomini lo mostrò chiaramnete.
Cosa accade quando si impara di non poter cambiare le cose
Seligman ripeté l’esperimento su alcuni esseri umani, non con le scosse ma con dei rumori assordanti.
In breve, chi era messo in una stanza con un rumore assordante ma anche con un interruttore per spegnerlo, imparava come tutelarsi.
Chi invece era messo in una stanza con gli stessi rumori che non poteva far cessare, smetteva di provare a fare qualunque cosa per tutelarsi. C’erano anche qui degli interruttori ma non funzionavano.
Quindi, quando poi questi soggetti venivano messi una seconda stanza in cui c’era sia il rumore sia l’interruttore funzionante, ecco che il modello dell’impotenza appresa veniva fuori.
Quelle persone, benché avessero a disposizione un istruttore funzionante, non cercavano nemmeno di usarlo.
Proviamo a trasportare tutto in una situazione di ipotetico maltrattamento.
E se la difesa per le donne maltrattate fosse come quell’interruttore rotto?
Se una donna viene picchiata o maltrattata (anche economicamente ad esempio), e chiede aiuto, ma questo non funziona, smetterà di chiedere aiuto.
Può accadere che una donna, facendo appello a tutto il suo coraggio, decida di denunciare. Se chi raccoglie la sua denuncia la giudica e cerca di farla desistere dal denunciare, quella donna si troverà davanti a quell’interruttore guasto.
E smetterà di chiedere aiuto e di denunciare.
Ecco perché è importante modificare la legge e ammettere la sindrome della donna maltrattata come causa scatenante che può portare la donna a ribellarsi al suo persecutore, e invocare così la legittima difesa.
Sindrome della donna maltrattata e Tribunale: perché la legge italiana deve ancora recepirla
Secondo il National Coalition Against Domestic Violence, le donne maltrattate sviluppano una serie di sintomi tra cui:
- ansia;
- isolamento sociale ed emotivo;
- depressione;
- impotenza appresa;
- paura di essere giudicata;
- credenza di essere sbagliata;
- convinzione errata di poter cambiare l’abusante;
- convinzione errata che l’abusante cambierà da solo;
- disturbi del sonno o dell’alimentazione;
- PTSD.
In questi casi si può parlare di BWS, cioè di ‘Battered woman syndrome’, quindi di sindrome della donna maltrattata.
Ad oggi però, nei manuali diagnostici come il DSM-V non si riconosce di fatto l’autonomia di questa sindrome, ma al massimo si fa riferimento ad un tipo particolare di PTSD, cioè di disturbo post traumatico da stress.
Ma cosa accade se una donna si ribella e uccide l’uomo violento? Ad oggi accade che per lei risulta praticamente impossibile appellarsi alla legittima difesa.
Cerchiamo di cogliere bene questo punto.
Una donna subisce per anni, a volte decenni, violenze. Sviluppa quindi impotenza appresa e si ritrova colpita da una sindrome da maltrattamento.
Subisce, subisce, subisce e poi, non sempre, dice basta. Può arrivare a uccidere fisicamente l’uomo che la minacciava, perché vede questa eventualità come unica via d’uscita (e purtroppo spesso lo è).
Ma in Tribunale il suo passa per un omicidio, anche se in alcuni Paesi le cose stanno diversamente.
Sindrome della donna maltrattata: in Inghilterra la legge la riconosce
In Inghilterra, verso la fine degli anni ’90, in Tribunale si è cominciato a parlare della sindrome della donna maltrattata come situazione che porta la donna vittima di violenza ad esplodere contro l’uomo violento.
Si erano infatti verificati alcuni omicidi da parte di donne che per anni avevano subito abusi dal proprio compagno. Le donne erano state condannate, ma da lì erano cominciate diverse cause in appello per contestare le sentenze.
3 casi in particolare hanno fatto scuola.
I 3 casi scuola: R v Ahluwalia, R v Humphreys e R contro Thornton
In questi tre sentenze, è stata riconosciuta tutta la ricerca fatta fino a quella data sul fenomeno.
In sostanza si è capito, e accettato legalmente, che una donna maltrattata può arrivare a uccidere il suo persecutore dopo anni di abuso perché vittima della BWS.
Queste donne sentono di non avere altra via d’uscita e percepiscono che la loro vita è in pericolo.
In questi casi, all’estero, la legittima difesa è stata invocata e riconosciuta, e ad alcune donne è stata ridotta la pena, mentre in Francia una donna è stata addirittura graziata.
In Canada invece ha fatto giurisprudenza un caso di assoluzione.
Sindrome della donna maltrattata: in Canada è stata assolta una donna
Nel 2012 la legge canadese è stata rivista, e nello specifico le modifiche al codice hanno riguardato anche il concetto di legittima difesa.
Ebbene, la sindrome della donna maltrattata è stata riconosciuta come una fattispecie di legittima difesa.
Nel 1990 infatti Angélique Lyn Lavallée fu assolta dall’accusa di omicidio. Aveva in effetti ucciso 4 anni prima il suo compagno che la maltrattava, ma per la Corte Suprema (e lo psichiatra perito che riscontrò in lei la sindrome), la donna aveva agito per salvarsi la vita, anche se in quel momento preciso l’uomo non la stava minacciando.
Se non lo avessi ucciso, mi avrebbe ucciso lui, mi ha detto che mi avrebbe uccisa quando gli ospiti se ne sarebbero andati.
Queste le parole pronunciate da Angélique alla polizia quando fu arrestata. E questo molto probabilmente sarebbe accaduto se lei non avesse detto basta.
Sindrome della donna maltrattata: in Florida la BWS si può usare come legittima difesa
C’è infine un caso davvero storico, discusso nel 1999 presso la Corte Suprema della Florida. Si tratta del caso Weiand v. State.
Partendo da questo caso la Corte infatti ha concesso a chi uccide il proprio aggressore di appellarsi alla sindrome del coniuge maltrattato come difesa.
Ecco perché in Italia c’è ancora molto da fare.