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Esiste il gene del male?
Secondo una sentenza unica in Italia sembrerebbe di sì.
Era il primo ottobre del 2009 quando la Corte di Assise di Trieste ha emesso la sentenza n.5.
Con questa, ha stabilito per la prima volta nel nostro Paese che l’imputato dovesse avere una riduzione della pena.
Il motivo?
Nel suo patrimonio genetico si riscontrava la presenza di geni che lo rendevano “particolarmente reattivo e aggressivo”.
Il risultato?
In situazioni di stress il soggetto era affetto da “vulnerabilità genetica” a causa del gene del guerriero: il gene portatore della mutazione MAO-A.
Che fine fa il libero arbitrio?
Quale responsabilità si può attribuire a un individuo che, giudicato comunque sano di mente, si ritiene sensibile allo stress per motivi genetici?
Quanto la neurocriminologia può aiutarci a spiegare la genesi di un killer oppure, al contrario, può trovare alibi per qualunque comportamento?
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Il gene del male: cos’è e come agisce la MAO-A
Sul cromosoma X, uno dei due cromosomi sessuali, c’è un gene, che quando subisce una mutazione prende il nome di MAO-A (monoamminoossidasi-A): si tratta del gene del male.
Questo gene, quando è sano, contribuisce a metabolizzare i neurotrasmettitori serotonina, noradrenalina e dopamina, che entrano in gioco quando si provano emozioni forti come la rabbia.
Quando il gene è mutato, la sua attività nel metabolismo di questi ormoni si riduce, e allo stesso tempo invece aumenta il rischio di commettere reati gravi o violenze.
Infatti, la scienza e la statistica ci dicono che i bambini maltrattati che mostrano la variante normale del gene non sviluppano comportamenti antisociali da adulti.
Al contrario, i bambini maltrattati con la mutazione nel gene MAO-A, crescendo hanno un rischio maggiore di diventare violenti e sociopatici.
Mutazione nel gene del male: il ruolo del sesso
Cosa ci dice tutto questo?
Innanzitutto tutto che gli uomini sono statisticamente più a rischio di diventare sociopatici.
Il motivo è che in presenza della mutazione del gene del male, avendo un solo cromosoma X, se questo presenta la mutazione, non ce n’è un altro per compensare.
Il ruolo dell’ambiente nello sviluppo del gene del male
In secondo luogo, il ruolo dell’ambiente è determinante per la comparsa dei comportamenti violenti.
I bambini maltrattati, a seconda che presentino o meno la variante del gene del guerriero, possono o meno diventare violenti.
Questo vuol dire che in presenza del gene mutato, il ruolo dell’ambiente e delle esperienze drammatiche di vita, fa la differenza.
Genetica e ambiente del resto sono strettamente interconnessi e l’uno influenza l’altro.
Il gene del male: quali sono le caratteristiche che esprime?
I soggetti che presentano il gene del male, quindi il gene mutato, condividono alcune caratteristiche che sono:
- testosterone a livelli molto alti;
- un quoziente intellettivo basso;
- un alto tasso di abbandono scolastico;
- comportamenti antisociali in adolescenza come quello di entrare nelle gang.
Sentenze storiche in Italia: il ruolo del gene della genetica nella colpa diminuita
Il gene del male sta entrando in Tribunale?
Cosa accadrebbe se tutti gli imputati per crimini violenti venissero assolti perché non responsabili?
Esiste questo rischio, o si tratta solo in un timore infondato?
In realtà, è già accaduto.
Il gene del male nella Sentenza di Trieste del 2009
Trieste, 2007. Un algerino, Abdelmalek Bayout, uccide Walter Felipe Novoa Peréz, per uno sbaglio di persona.

Bayout voleva uccidere un connazionale della vittima, un peruviano, che lo aveva deriso.
In Tribunale, la difesa di Bayout chiede una perizia, ma ne vengono effettuate ben 3.
Dopo le perizie il giudice riduce la sua condanna per seminfermità di mente a 9 anni e 2 mesi.
In appello la pena viene ulteriormente ridotta grazie a una nuova perizia psichiatrica che questa volta include anche un’analisi genetica.
Tale analisi trovò che l’imputato presentava la mutazione sul gene del male, ciò che lo aveva reso aggressivo e antisociale.
Una risonanza magnetica aveva poi individuato una disfunzione nella corteccia frontale, la zona del cervello che blocca gli impulsi e che usiamo per prestare attenzione e pianificare un’azione, impedendo quelle giudicate antisociali.
Un uomo con una mutazione genetica che lo rendeva aggressivo e una corteccia frontale non funzionante che non bloccava quell’aggressività.
Questo fece sì che, per la prima volta non solo in Italia ma anche in Europa, la genetica entrasse in Tribunale dalla porta principale per attestare la vulnerabilità genetica di un soggetto.
Bayout ottenne un altro sconto di pena, e la sua sanzione venne abbassata a 8 anni.
La motivazione? Eventi stressanti possono potenziare la predisposizione genetica al crimine.
Questo non rassicura molto, se si considera che nel caso di Bayout è bastato uno scherno a fare da grilletto.
Considerato che lo stress è il fattore più impattante della vita e che la nostra società si fonda letteralmente sullo stress, dobbiamo pensare che ci siano 9 miliardi di potenziali assassini ai quali basta una parola per scatenarsi?
Ancor più sconcertante è stato il caso di Stefania Albertani.
Il gene del male nella Sentenza di Como del 2009
Passa poco tempo dalla sentenza Bayout quando un’altra Corte, e precisamente quella di Como, viene chiamata a esprimersi su un caso simile.
Luglio 2009, Cirimido, provincia di Como. Si ritrova il corpo carbonizzato di Maria Rosa Albertani, figlia di una famiglia molto nota e benestante della zona.

Poco tempo prima sua sorella Stefania si era recata in caserma per denunciare alle forze dell’ordine proprio Maria Rosa, per truffa e appropriazione indebita ai danni dell’azienda di famiglia.
La denuncia allegava una lettera in cui Maria Rosa si auto-accusava di tutti i fatti. Gli inquirenti appaiono poco convinti della denuncia, e solo allora Stefania denuncia anche la scomparsa della sorella.
Ma come? Stefania si reca in caserma per denunciare Maria Rosa e solo per caso afferma anche che la stessa sarebbe scomparsa da mesi?
Quando sulla carta di credito di Maria Rosa si notano delle operazioni poco chiare, Stefania viene iscritta nel registro degli indagati e posta sotto intercettazione ambientale.
Verrà fuori un quadro terribile, un disegno criminale operato da Stefania che oltre ad aver ucciso, si scoprirà, la sorella, proverà a eliminare anche i genitori facendo esplodere la loro auto, per fortuna senza esito.
Non contenta, cercò di avvelenare il padre con dei farmaci che lo fecero finire in ospedale, fortunatamente non uccidendolo.
Sarà solo l’intervento in extremis dei carabinieri che salveranno la madre della donna, mentre Stefania cercava di strangolarla.
Il corpo di Maria Rosa, carbonizzato, viene ritrovato, e Stefania finisce sotto processo.
Ira, violenza, scatti di aggressività, così viene descritta Stefania, tanto che la Corte richiede una perizia psichiatrica per l’accertamento della capacità di intendere e di volere.
“Condizione patologica di tipo psicotico che l’ha resa totalmente incapace di intendere e di volere“, queste le conclusioni. A quel punto la difesa chiede ulteriori accertamenti di natura genetica, e a svolgere questi esami sono gli stessi consulenti del caso Bayout, i professori Sartori e Pietrini.
Con la risonanza magnetica i consulenti stabilirono delle alterazioni nella morfologia del cervello, e in particolare nella densità della materia grigia, anche in questo caso in una zona che ha la funzione di bloccare il comportamento aggressivo.
Tramite esami di genetica molecolare poi, anche in Stefania (condizione tra l’altro meno frequente nelle donne che hanno due cromosomi X) si trovò la presenza del gene del male.
Questo la rendeva a “maggior rischio di comportamento impulsivo, aggressivo e violento“.
Si stabilì un nesso di causa effetto tra i disturbi dell’imputata e i suoi comportamenti illeciti.
In sostanza Stefania venne ritenuta meno colpevole a causa dei suoi geni e del suo cervello, e in primo grado condannata a 20 anni.
La criminalità è solo genetica?
La genetica da sola può quindi spiegare il comportamento violento?
In realtà no. Genetica, biologia e ambiente sono i fattori che determinano se un soggetto diventerà un criminale o meno.
È il cosiddetto modello biopsicosociale, che afferma come in presenza di una predisposizione genetica e una vulnerabilità psicologica, in presenza di uno stress ambientale chiunque può diventare un assassino.
Se i geni ci predispongono quindi, l’ambiente e la nostra volontà ci possono proteggere.
Esattamente quello che è avvenuto a James Fallon, il neuroscienziato che per caso, mentre studiava le risonanze magnetiche degli psicopatici, si accorse che il suo cervello era identico al loro.
A fare la differenza nel caso di Fallon, come racconta lui stesso, è stato l’ambiente amorevole in cui è cresciuto a impedirgli di diventare un serial killer. Ma quanti possono avere la stessa fortuna?
Serial killer si nasce o si diventa?
Si torna così alla domanda che appassiona i ricercatori da sempre.
Serial killer si nasce o si diventa?
Da decenni i neuroscienziati tentano di descrivere le basi della psicopatologia violenta da un punto di vista neuroanatomico.
Si interessano ai diversi tipi di psicopatici, alle loro caratteristiche e alle cause potenziali che contribuiscono alla nascita di un assassino.
Criminali violenti e psicopatici si diventa per predisposizione?
E se sì, quali sono i fattori determinanti?
Chiunque presenti quel malfunzionamento cerebrale o una predisposizione genetica è destinato a diventare un assassino?
Queste sono le domande che vengono affrontate dalla neurocriminologia
Neurocriminologia: cosa non funziona nel cervello di uno psicopatico?
Allo stato attuale non è stata trovata una causa neurologica che sia universalmente accettata della psicopatologia.
Cosa studia dunque la neurocriminologia, e cosa non funziona nel cervello di uno psicopatico?
La neurocriminologia usa le scoperte delle neuroscienze e le applica allo studio delle cause del crimine. Allo stesso tempo cerca di prevenire e trattare il comportamento criminale e le sue conseguenze.
Impossibile non pensare a Cesare Lombroso, forse molto più attuale, per alcuni aspetti, di quanto si pensi.
Se il comportamento criminale ha una base neurobiologica, l’interesse è quello di portare le neuroscienze nei Tribunali.
Le domande da farsi sono:
- come si possono usare queste conoscenze per prevedere il comportamento criminale e tutelare la comunità?
- quali sono le implicazioni per le punizioni dei criminali?
Si arriva così alla psichiatria forense.
La neurocriminologia nella psichiatria forense
La psichiatria forense si occupa di comprendere il comportamento criminale fin dalla sua origine e poi nel suo mantenimento, con lo scopo di trattarlo e interromperlo.
La neurocriminologia è quindi uno strumento importantissimo per la psichiatria forense, perché ci aiuta a capire meglio i meccanismi che stanno alla base del comportamento antisociale.
Le aree chiave del cervello nella devianza sono
- le regioni frontali;
- quelle temporali;
- e quelle sottocorticali.
Quando queste aree subiscono un danno, per la scienza può accadere che il soggetto diventi violento.
È davvero così nella realtà?
Anche questa volta, la risposta è sì.
Lesioni corticali e comportamento deviante
Darby, un neuroscienziato, effettuò con i suoi colleghi uno studio di neuroimaging.
Mappò il cervello di 17 criminali antisociali arrestati per:
- furto;
- frode;
- stupro;
- aggressione;
- omicidio.
In tutti trovò delle lesioni

- 9 nella struttura mediale frontale o orbitofrontale;
- 3 nel lobo temporale mediale / amigdala;
- 3 nel lobo temporale anteriore;
- 1 nella corteccia prefrontale dorsomediale;
- 1 nello striato ventrale e in alcune parti della corteccia orbitofrontale.
La cosa più importante da specificare è che questi soggetti, prima di subire queste lesioni, erano normali e rispettosi della legge.
Dopo il trauma, iniziarono a delinquere.
Neurocriminologia: la rete cerebrale della moralità è compromessa
Un’altra cosa che colpisce di questi studi è che tutte queste aree, insieme, formano quella che si definisce “rete cerebrale della moralità“.
Lesioni in più aree cerebrali diverse si associano a comportamenti criminali, ma tutte le zone fanno parte di un’unica struttura coinvolta nel processo decisionale morale.
Questi studi hanno permesso di assolvere o ridurre le sentenze per molte persone.
Non solo Bayout o Stefania Albertani.
Antonio Bustamante, un assassino seriale messicano, è stato salvato dalla pena di morte grazie alle sue immagini cerebrali.
Erbert Weinsten si è salvato perché la sua risonanza magnetica ha mostrato la mancanza di una parte della corteccia prefrontale, quella che inibisce gli impulsi violenti.
Siamo ancora ben lontani dalla soluzione e tanto meno dalla verità.
Ogni storia è a sé, ed è certamente vero che la genetica fa di noi quello che siamo.
Tuttavia c’è differenza tra il colore degli occhi e la predisposizione all’omicidio.
Il gene del male esiste, che lo si chiami warrior gene o MAO-A.
Resta sempre però il ruolo dell’ambiente e dell’amore che siamo in grado di dare e ricevere.
Destino prestabilito o libero arbitrio, o forse entrambi?
La vita è come un gioco di carte, diceva Jawaharlal Nehru, l’erede di Gandhi.
La mano che ti viene data è il determinismo, ma il modo in cui lo giochi è il libero arbitrio.
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Fonti utilizzate
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