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Il delitto di Arce, un piccolo comune nella provincia di Frosinone, è un cold case che ha sconvolto l’Italia e suscitato l’interesse di giornalisti, investigatori e appassionati di criminologia.
L’omicidio di Serena Mollicone, rimasto a oggi irrisolto è uno dei casi di cronaca nera più discussi e controversi in Italia.
Serena, una giovane ragazza di 18 anni, scomparve il 1° giugno del 2001 ad Arce, Frosinone, nel Lazio. La sua morte e il successivo sviluppo delle indagini hanno suscitato un profondo interesse dell’opinione pubblica, non solo per la brutalità del crimine, ma anche per gli aspetti legati alla giustizia e alla verità.
In questo articolo ricostruiamo l’omicidio di Serena Mollicone fino a oggi.
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La scomparsa di Serena Mollicone
Serena Mollicone, studentessa e atleta, era conosciuta per la sua vivacità e il suo spirito libero. Il giorno in cui scomparve, aveva fatto visita al suo luogo di lavoro, un negozio di articoli sportivi.
Dopo essere uscita, non sarebbe più tornata a casa. La sua famiglia, preoccupata, denunciò subito la scomparsa alle autorità.
Le ricerche iniziarono immediatamente, coinvolgendo forze dell’ordine e volontari locali. Tuttavia, i tentativi di trovare Serena si rivelarono vani.
Quell’estate Serena avrebbe dovuto sostenere l’esame di maturità; studiava al liceo socio-psico-pedagogico Vincenzo Gioberti di Sora.
Il giorno della scomparsa, come attestato dall’agenda che aveva con sé, si sarebbe dovuta sottoporre a una radiografia ai denti all’ospedale di Isola del Liri. Poi avrebbe dovuto incontrare il ragazzo con cui usciva in quel periodo.
Questo caso, almeno all’inizio, ricorda la storia di Yara Gambirasio, perché il papà di Serena, allarmato dalla sua scomparsa, esce di casa e inizia a cercarla. Le informazioni che riesce a trovare sono di Serena che litiga con un ragazzo dai capelli biondi davanti a un bar. La versione sul momento viene confermata dalla proprietaria stessa del bar e da un carrozziere, Carmine Belli.
Delitto di Arce: il ritrovamento del corpo di Serena Mollicone
Appena due giorni dopo il corpo di Serena Mollicone viene ritrovato dalla Protezione Civile.
Serena è morta, abbandonata dietro un cassone della spazzatura sotto rami e foglie. Ha la bocca coperta da un nastro adesivo e le mani e i piedi legati con del fil di ferro.
Tremendo sarà il responso dell’autopsia: Serena era ancora viva ed è morta per asfissia. Poteva salvarsi, proprio come Yara.
Serena Mollicone era ancora viva: il dettaglio dei nastri adesivi
L’autopsia sul corpo di Serena Mollicone confermerà che la ragazza era morta per asfissia.
Quindi quando è stata portata nel boschetto era ancora viva.
Oltre al referto del medico legale, a far propendere per questa ipotesi è una constatazione crimnologica.
Perché gli assassini avrebbero dovuto legarle le mani dietro le schiena se la ragazza fosse stata morta?
Sarebbe stato più comodo e quindi più logico non legarla o legarla con lemani davanti al corpo se Serena non fosse stata più in vita.
È evidente dunque che non si voleva che la ragazza si liberasse una volta tornata cosciente.
I primi misteri e dubbi sul delitto di Arce
Fin da subito accadono cose strane che verranno addebitate a tentativi di depistaggio.
Il diario e il cellulare di Serena Mollicone
La prima cosa strana accade quando il maresciallo Franco Mottola, poi finito sotto processo, si reca a casa di Serena Mollicone.
Non si era ancora trovato il corpo della ragazza ma lui prende il suo diario.
Diario di cui nei verbali e negli atti non vi sarà traccia.
Poiché accanto al corpo di Serena non era stato rinvenuto il cellulare, fatto anomalo, i carabinieri tornano a casa sua dopo la visita di Mottola. Del cellulare però non vi è traccia.
In modo inspiEgabile però, a distanza di 3 giorni da quella perquisizione, il cellulare comparirà nel cassetto del comodino di Serena.
Tra i contatti vi è, al numero 666, il nome “Diavolo”. Appare evidente fin da subito che si tratta di un maldestro tentativo di depistaggio.
Il coinvolgimento del papà di Serena Mollicone
Un’altra assurda situazione si verifica quando, di nuovo, il maresciallo Mottola convoca il papà di Serena in caserma.
In realtà papà Guglielmo, poi morto d’infarto nel novembre del 2019, viene addirittura prelevato nel corso del funerale, davanti a tutti.
Mottola dirà di aver ricevuto l’ordine direttamente dal procuratore di Cassino, il dottor Gianfranco Izzo. Izzo smentirà.
Ufficialmente Guglielmo viene prelevato per firmare l’atto di ritrovamento del cellulare di Serena, ma chiaramente quella mossa porta tutti a sospettare di lui, e quindi a sviare i sospetti da altre persone.
L’arresto del carrozziere Carmine Belli
Anche l’arresto nel 2003 del carrozziere Carmine Belli, che aveva testimoniato subito dopo la scomparsa di Serena, fu un depistaggio.
Belli fu un vero e proprio capro espiatorio, in quanto lo si rinviò a giudizio per l’omicidio di Serena.
Assolto in tutti e 3 i gradi di giudizio, passò comunque 1 anno e mezzo in carcere.
Guarda caso, il ragazzo che Belli aveva visto litigare con Serena il giorno della scomparsa, era Marco, il figlio del maresciallo Mottola.
La svolta sul delitto di Arce: il suicidio di Santino Tuzi
I fili intrecciati del delitto di Arce iniziano a dipanarsi. Nel 2008 il carabiniere Santino Tuzi, in forza alla caserma di Arce, si spara nella sua auto. Sul momento si disse che il gesto era da attribuirsi al fatto che aveva un’amante. La verità è che solo pochi giorni prima Tuzi aveva dichiarato agli inquirenti che quel 1 giugno del 2001 aveva visto Serena entrare in caserma e non uscirne mai più.
La pista dello spaccio di Hashish di Marco Mottola
Cosa era andata a fare Serena Mollicone il 1 giugno del 2001 nella caserma di Arce?
Il carrozziere Belli l’aveva vista litigare con un ragazzo biondo, il figlio del maresciallo Mottola.
La procura di Cassino proseguì le indagini, scoprendo che Serena Mollicone probabilmente si era recata in caserma per denunciare Marco Mottola.
Pare che il giovane, usando addrittura la caserma come copertura, spacciasse hashish.
Tuzi quindi affermò di aver visto Serena entrare in caserma ma disse di non averla vista uscire.
Poi ritrattò, ma si uccise.
Stava emergendo un’ipotesi terrificante, e cioè che Serena Mollicone avesse trovato la morte in una caserma, luogo simbolo di sicurezza, per mano di chi avrebbe dovuto proteggerla.
Delitto di Arce: i Mottola sotto accusa
Questi fatti portarono all’incriminazione della famiglia Mottola, il padre maresciallo Franco, il figlio Marco e la moglie. Le accuse erano gravissime: omicidio volontario e occultamento di cadavere.
La ricostruzione dei fatti da parte degli inquirenti parlava del litigio avuto da Serena con Marco davanti al bar di Arce. Poiché la rAgazza aveva dimenticato i suoi libri nell’auto del ragazzo, si sarebbe recata in caserma per recuperarli, dato che i Mottola avevano lì un alloggio.
Lì avrebbe discusso nuovamente con i suoi assassini; forse alla minaccia di denuncia sarebbe stata uccisa e poi il suo corpo nascosto dietro il cassonetto.
La richiesta di archiviazione per i Mottola e l’opposizione del GiP
Nonostante gli anni di indagini, la Procura di Cassino chiese l’archiviazione del procedimento contro i Mottola nel 2011, perché non ravvisò prove a loro carico. Tuttavia, con la motivazione che non si era fatto tutto il necessario per scoprire la verità sui fatti, il Giudice per le Indagini Preliminari respinse la richiesta.
Il giallo delle impronte sul nastro adesivo: il DNA del killer di Serena Mollicone?
Dopo l’opposizione del GiP e dopo l’assoluzione di Belli, si tenne nel luglio del 2011 un incidente probatorio.
Le indagini scientifiche permisero di rinvenire un’impronta digitale, verosimilmente del suo assassino o dei suoi assassini.
Su questa impronta definita completa dal professor Novelli che ha svolto la perizia, ci sono delle contestazioni.
Tuttavia dopo l’incidente probatorio disposto dal gip di Cassino Valerio Lanna, si sono individuati due profili misti di Dna maschile, confrontato con i vestiti che Serena indossava.
Il consulente del GiP, professor Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma, parla di un’impronta digitale completa nella parte interna del nastro adesivo stretto intorno alle caviglie di Serena.
Questo avrebbe permesso di confrontare le tracce con il DNA di tutti gli indagati.
Tuttavia nessun componente della famiglia Mottola risulterà possessore di quel DNA.
Delitto di Arce: la riesumazione del cadavere di Serena Mollicone
Nel 2016 un altro colpo di scena. Su incarico della Procura l’anatomopatologa Cristina Cattaneo effettuò una serie di analisi, trovando compatibilità tra il trauma cranico a carico di serena e l’ammaccatura della porta di uno degli alloggi della caserma di Arce,
La Cattaneo affermò anche che nel corso delle prime indagini nel 2001, vennero commessi alcuni errori, omettendo esami importanti e ravvisando la sparizione di reperti autoptici.
La compatibilità tra la ferita e il danno alla porta fu l’elemenot che permise di rinviare a giudizio gli indagati.
I Mottola a processo per il delitto di Arce
Tutta la famiglia Mottola finisce a processo nel 2020. Assieme a loro anche un altro carabiniere, Quatrale, che secondo l’accusa era presente quel 1° giugno del 2001 e che avrebbe istigato Tuzi al suicidio. Ancora, il brigadiere Suprano, per favoreggiamento.
Secondo la ricostruzione dell’accusa Serena Mollicone sarebbe stata colpita dentro la caserma proprio da Marco Mottola. Ferita e agonizzante, i suoi carnefici l’avrebbero trasportata ancora viva dietro il cassonetto dove fu rinvenuta. Ad aiutare Marco Mottola sarebbero stati i genitori, invece di prestare soccorso a Serena o denunciare i fatti. Addirittura, si applicò a Serena del nastro adesivo sulla bocca. Si ricorda che il papà di Serena, Guglielmo Mollicone, morì prima dell’inizio del processo, il 31 maggio del 2020.
Il processo di primo grado: i Mottola assolti
La prima udienza si tenne il 19 marzo 2021.
In tutto ve ne furono 47, fino ad arrivare al 2022. Nonostante le richieste dei Pubblici Ministeri:
- 30 anni per Franco Mottola;
- 24 anni per Marco Mottola;
- 21 anni per Anna Maria Mottola;
- 15 anni per Vincenzo Quatrale;
- 15 anni per Francesco Suprano
tutti gli imputati vennero assolti.
Il processo d’appello: i Mottola ancora imputati per il delitto di Arce
Il 26 ottobre del 2023 iniziò il processo di appello a carico della famiglia Mottola e di Suprano e Quatrale.
Di nuovo l’accusa aveva chiesto:
- 24 anni di carcere per il maresciallo dei carabinieri Franco Mottola;
- 21 anni per Marco Mottola, il figlio;
- 22 anni per la moglie Anna Maria;
- 4 anni per Suprano;
- l’assoluzione per Quatrale per rmancanza di prove.
Il processo durerà 9 mesi, nel corso dei quali si ascolteranno consulenti e testimoni, ben 44, di cui 3 mai auditi.
La ricostruzione del delitto di Arce secondo i Pubblici Ministeri: Serena poteva essere salvata
Il delitto di Arce e l’omicidio di Serena Mollicone ricorda quello di Marco Vannini, il giovane lasciato morire in casa dei suoi aguzzini dopo ore di agonia.
Secondo l’accusa Serena, ancora in vita quando fu abbandonata, poteva essere salvata.
La ragazza avrebbe perso i sensi quando Marco Mottola l’avrebbe sbattuta contro una porta della caserma.
Lo confermò Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa del Labanof di Milano, che testimoniò durante il processo d’Appello.
“La morte di Serena non è stata immediata. La sua agonia è durata da una a dieci ore e quindi poteva essere salvata“, ha detto la Cattaneo, trovando anche la compatibilità della ferita alla testa con il montante della porta.
Luglio 2024: l’ultima sentenza, i Mottola ancora assolti
Nel luglio del 2024 la terribile sentenza.
Non c’è un colpevole per l’assassinio di Serena Mollicone.
Tutti assolti, anche in secondo grado.
Così si sono espressi i giudici della Corte di Assise di Appello di Roma, dopo circa tre ore di camera di consiglio.
Sdegno e rabbia in aula per questa seconda sentenza. La sorella di Serena, Consuelo, dice: “Sono molto amareggiata. Questa non è giustizia“.
Lapidarie le parole dello zio di Serena, Antonio, che da anni si batte affinché la verità emerga.
“Ho il dovere“, dice, “come cittadino italiano e zio di Serena di fare in modo che emerga la giustizia perché fino ad ora non è ancora emersa“
Al danno si è aggiunta anche la beffa per i famigliari di Serena, condannati a pagare le spese di giudizio.
Chi sa chi ha ucciso Serena Mollicone parli, ma abbiamo parlato tutti, dice il parroco di Arce
Da più parti si sono sempre levate voci di indignazione per la storia di Serena Mollicone.
Sui social, soprattutto, si continua a dire che c’è chi sa e non ha parlato.
A queste accuse ha risposto il parroco di Arce, don Angelo D’Anastasio, che invece afferma come tutti quelli che sapevano qualcosa lo hanno detto. Però, non sono stati ascoltati.
A chi si riferisce don Angelo?
Le testimonianze non ascoltate nel caso di Serena Mollicone
Il caso dell’omicidio di Serena Mollicone continua a suscitare polemiche.
Il motivo è che a differenza di molti casi in cui non ci sono piste o testimonianze, in questo tutti quelli che potevano hanno parlato.
Lo ha fatto Maria Pia Fraioli, la nipote del carrozziere Carmine Belli.
Il 2 giugno del 2001, ricorda, mostrò il volantino con la foto di Serena allo zio, che la riconobbe e si recò in caserma per rilasciare una dichiarazione. Nella dichiarazione fornirà dettagli sui vestiti di Serena, con i quali fu poi effettivamente rinvenuta. Quindi era vero che l’aveva vista, e l’aveva vista litigare con Marco Mottola.
Lo ha fatto il professor Fernando Ferrauti, responsabile dell’Asl di Frosinone.
Al medico dei pazienti tossicodipendenti avrebbero detto che il “figlio del maresciallo Mottola era un pusher, e ha ucciso una ragazza che lo voleva rovinare”.
Ferrauti lo riferì ai carabinieri, ma la sua testimonianza restò in un cassetto.
Lo ha fatto Massimo Polletta, in servizio al nucleo investigativo del comando provinciale di Frosinone. Polletta disse che l’ordine di servizio del giugno del 2001 era quanto meno “anomalo”. Quell’ordine era stato scritto dal maresciallo Vincenzo Quatrale e dal brigadiere Santino Tuzi, che si toglierà la vita dopo aver affermato di aver visto Serena entrare in caserma quel giorno e non uscirne più.
Quante altre persone avrebbero dovuto parlare affinché la verità di Serena potesse venire fuori?
“Sappiamo chi è stato“. dice il parroco di Arce, “la verità esiste”.
Le motivazioni della sentenza di assoluzione nel delitto di Arce: impianto accusatorio inconsistente
L’11 ottobre del 2024 la Corte di Assise d’Appello di Roma ha reso note le motivazioni con le quali hanno assolto nuovamente dall’accusa di omicidio i Mottola.
Si legge nelle stesse: “non ci sono prove che i Mottola abbiano ucciso Serena Mollicone”.
Nelle 59 pagine delle motivazioni l’impianto accusatorio si dice inconsistente.
Questo nonostante il fatto che la Corte ritenga le dichiarazioni dei Mottola incongruenti.
Non basta per ritenerli colpevoli perché gli indizi, che esistono, non possono essere verificati con certezza.
Le motivazioni parlano dell’uso di verbi come “dovere” o “potere”, e ancora di congiunzioni disgiuntive, cioè forme verbali che introducono due alternative.
Davvero basta la grammatica per non dare pace a Serena?
“Non si può condannare qualcuno”, si legge infine nella motivazione, “sulla base di sondaggi e di umori popolari”.
Le testimonianze e le prove, come quella fogliolina trovata sul corpo di Serena che non veniva dal bosco ma dal giardino della Caserma di Arce, sono sondaggi?
La compatibilità della ferita di Serena con la porta della caserma è un umore popolare?
Il fatto che non vi sia prova, secondo i Giudici, che Serena sia entrata in Caserma è compatibile con la dichiarazione di chi invece l’ha vista proprio lì dopo il litigio con Marco Mottola?
Serena Mollicone, dice lo zio Antonio, era turbata dalla droga che girava nel paese.
Lamentava l’assenza delle istituzioni e quella maledetta mattina, forse, era andata proprio a denunciare.
Andremo avanti, continua lo zio, la verità deve venire fuori.
Delitto di Arce: l’11 marzo 2025 la Cassazione decide di rifare il processo d’Appello
L’11 marzo del 2025 la Suprema Corte di Cassazione ha deciso sul processo per il delitto di Arce.
Il ricorso avverso la sentenza di Appello del 12 luglio del 2024, depositato dalla Procura generale della Corte d’Appello di Roma, è stato infatti accolto.
Il terzo grado di giudizio però riguarderà solo la famiglia Mottola, accusati e assolti in secondo grado per omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Per i giudici Serena Mollicone è “stata vittima di una condotta omicidaria commessa da una o più persone, consistita in un’azione contusiva alla testa, nella zona sopraccigliare sinistra, a seguito della quale la giovane ha riportato un trauma cranico; successivamente Serena è con ogni probabilità deceduta per asfissia meccanica da soffocazione esterna diretta“.
Tutto da rifare,
Alcuni errori, dovuti alla ripetizione pedissequa delle falsità propalate dalla propaganda dell’accusa, colpevolista per principio: 1) Serena NON lavorava in un negozio di articoli sportivi; 2) Marco Mottola NON era il ragazzo biondo visto dal Belli litigare la mattina della scomparsa davanti a quel bar, perché la cugina della gestrice lo ha escluso dal confronto personale del giugno 2002 (1 anno dopo il fatto, a memoria ancora fresca); 3) Carmine Belli ha poi escluso che fosse Marco M. il ragazzo da lui visto quella mattina, come da lui dichiarato nel processo nel 2022.
Poi, stupidaggini varie: 1) compatibilità fra buco della porta e forma del cranio (non significa NULLA); 2) compatibilità fra pezzetti di legno sul cranio e quelli della porta (si trovano pure sul nastro che avvolge la busta esterna che avvolge nastro intorno alla testa, che quindi NON è stato a contatto con la porta, perciò NON può essere il prodotto dell’urto; 3) testimonianza del Tuzi, estorta dietro insulti, pressioni, minacce velate e condizionamenti (dall’audio si rileva l’incertezza o contrarietà del brigadiere, che diventa certezza nel verbale, perciò pilotato).
Logica, ovvia, corretta l’assoluzione.
Quanto accanimento contro questaversione, e non sei il prio. Credo che ci siano ancora molte cose non dete. Propaganda dell’accusa che risulta dagli atti però. La propaganda della difesa mi sembra altrettanto spinta. E Serena non ha ancora giustizia
Le cose non dette sono, è vero, molte. Per esempio: 1) la velocità necessaria per produrre il danno (6 m/sec = 21,6 km/h, secondo il perito dell’accusa) è impossibile da raggiungere dalla forza umana (neanche un pugile riuscirebbe a far schizzare un sacco da allenamento, del peso di Serena, a quella velocità); 2) la ferita all’arcata sopraccigliare sinistra di Serena dovuta all’urto produce sanguinamento abbondante (perché l’orbita dell’occhio è molto vascolarizzata), ma NEMMENO una goccia sui vestiti né nelle fibre del legno INTERNE alla porta in questione (non lavabili, perché non lisce né lucidate, perciò i Mottola NON possono averle pulite); 3) le 3 impronte digitali “leggibili” trovate sul nastro adesivo intorno alle gambe di Serena NON appartengono a NESSUNO degli imputati (si sarebbero fatti aiutare da altri, così da essere ricattabili?).
Sono alcune delle prove NON esaminate nei processi, che dimostrano semplicemente l’assurdità dell’accusa.
La difesa NON ha fatto propaganda, ha solo esposto fatti scientifici; l’accusa ha portato solo probabilità (compatibilità, che significa tutto e nulla).
La verità è che la massa vuole una giustizia sommaria, un colpevole di comodo, solo perché Serena era buona, donna, dolce, o altro.
Come saprà certamente, molti sono in Italia i casi mediatici per i quali si vuole un colpevole a ogni costo. Sari curosa di conoscere il suo ruolo in questa vicenda, dato chenoto una profonda competenza sul caso
Per quanto mi riguarda, non essendo almeno al momento coinvolta, mi limito a riportare i fatti ufficiali, ed è ovvio che la difesa (sono CTP) faccia il suo lavoro. Grazie del suo commento
Le cose non ancora dette ci sono. Per esempio: 1) la velocità dell’impatto necessaria per produrre il danno alla porta (6 m/sec = 21,6 km/h, secondo il perito dell’accusa) è IMPOSSIBILE da raggiungere con la forza umana (NEANCHE un pugile riuscirebbe a far schizzare un sacco da allenamento del peso di Serena a quella velocità); 2) la ferita all’arcata sopraccigliare sinistra di Serena produce immediato sanguinamento (perché intorno all’occhio ci sono molti vasi sanguigni), ma NEMMENO una traccia di sangue nelle fibre INTERNE della porta in questione (non lavabili, perché fibre non lisce né levigate), e neanche sui vestiti; 3) le 3 impronte digitali “leggibili” sul nastro adesivo intorno alle gambe di Serena NON appartengono agli imputati (che NON avrebbero fatto fare il lavoro sporco ad altri, per non essere ricattabili).
Tutto questo DIMOSTRA che la difesa ha portato fatti scientifici, mentre l’accusa solo probabilità (compatibilità, che significa tutto o nulla).
La verità è che si vuole fare giustizia condannando il primo che capita.